martedì 29 novembre 2016

Joy Division – Closer

 
 
I Joy Division furono uno di quei gruppi abili nel plasmare musicalmente i testi del loro compianto leader – Ian Curtis. Questo perché Curtis era l’anima tormentata della band, e il cambiamento di rotta intrapreso in seguito dai membri superstiti – New Order – evidenzia ancora di più, a posteriori, questa convinzione.
Curtis si è ucciso pochi giorni dopo l’uscita dell’album, impiccandosi in casa sua a 23 anni. Giovanissimo ma già grandissimo, segnato nell’animo dall’epilessia e da una lunga serie di problemi annessi. “Closer” è un album che vomita emozioni, torve, già palpabili osservando la splendida copertina che ritrae una statua funeraria del cimitero monumentale genovese di Stalieno.
Le percussioni di “Atrocity Exhibition” aprono l’album con un invito formale all’ascoltatore, mostrando quell’ingresso oscuro che punta dritto verso il cuore di Curtis – “this is the way, step inside”, recita il ritornello. Poi il lamento solitario di “Isolation” indica la via – quella del Synth-Pop a tinte scure, che la farà da padrone nel decennio in corso. Ma è con “Passover” che prende forma, anche da parte dell’ascoltatore, la certezza di essere al cospetto di un canto del cigno. Curtis è alla fine del proprio viaggio. Un sentore che emerge rileggendo il testo oggi, con la cognizione della tragedia che seguì. La presa di coscienza sulla realtà circostante manifestata in “Colony” sembra percuotere il piccolo guscio protettivo sviluppato dal giovane Curtis, all’apparenza così impenetrabile. Al giro di boa la trascinante “A means to an end” svela i fantasmi di un uomo distrutto, mentre mette a nudo anima e cuore (“Heart and soul”) in un abbecedario sul mal de vivre. Le “24 hours” sono solo 4 minuti e passa di intermezzo: splendido e veloce, con la voce di Ian ad accompagnarci verso la fine del gorgo.
The eternal” è forse l’apice concettuale dell’album. Una litania in cui ogni strumento sembra piangere una perdita imminente, un urlo disperato. Un corteo funebre anticipato e dimesso: anticipazione di morte e di dolore unica e irripetibile. Il gruppo chiude l’album con “Decades”: sguardo verso il futuro alimentato da quei sintetizzatori che saranno il pane dei New order.
Un album unico, spettrale e cupo, ma allo stesso tempo radioso nella sua capacità di inserire l’ascoltatore nei meandri del malessere di un uomo. Il male di vivere non sarà mai più così ben descritto in musica, permettendo all’ascoltatore di conoscere un amico dotato di una sensibilità superiore, troppo superiore, tanto da arrivare all’autodistruzione.


 

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