DI Jori Cherubini
“Tu sei nel mio cuore dal torneo di Orbetello, quando è libecciato e non si è giocato…” (F. Giurato, Orbetello)
Può capitare di sentirlo suonare nei piccoli teatri dell’Urbe: il solito ragazzo di un tempo, solo un po’ invecchiato; i capelli sempre lunghi (ma un po’ meno) da neri a bianchi, la barba incolta e la chitarra imbracciata. Flavio Giurato è senza dubbio uno dei segreti meglio custoditi del cantautorato italiano. Romano, classe 1949. Dopo un’assenza che sembrava procrastinarsi ad aeternum è tornato in corsa con una nuova raccolta di inediti. Un ritorno atteso in particolare da quanti hanno avuto la fortuna di imbattersi in un eccellente binomio (indimenticabile per la musica italiana): Il tuffatore (1982) e Marco Polo (1984). Quest’ultimo energico, minuzioso e sperimentale, comprendeva una serie di canzoni a dir poco memorabili, come Le funi o Marco e Monica. Ma il pubblico di quegli anni chiedeva altri suoni e colori. Nel 1985 avviene la rescissione del contratto da parte dell’etichetta discografica CGD. La chitarra appesa al chiodo. Il divano. I pomeriggi. Il timore sordo della disfatta. Pazienza. C’era altro da fare. Ad esempio allenare i ragazzi della Lazio (settore baseball, antica passione di Flavio) o lavorare negli studi Rai come regista, dove sovente gli capita di incontrare il fratello Luca. Passa il tempo. Anni decenni e secolo. Nel 2007 esce Il manuale del cantautore; la bravura resta immutata, cristallizzata e genuina. Stavolta il cantante si sofferma su alcuni casi irrisolti della nostra storia (Ustica, Moltesi, Pasolini). Il progetto si rivelerà transitorio; servirà nondimeno a rispolverare la chitarra e riprendere l’attività dal vivo. Il nome torna a scorrere tra addetti ai lavori e appassionati.
Giurato ha in cantiere un nuovo disco. Scrive, taglia e cestina. Si abbatte. Ricomincia. Trascorrono altri anni. Otto; e siamo a oggi. Licenzia un nuovo album di inediti. Sorprendente. Si intitola La scomparsa di majorana (sottotitolo: Disco manifesto e apologia dalla musica organica garantita senza BPM). Dieci brani di pregevole fattura. Trame dense che mirano al cuore. La voce è profonda, rassicurante, familiare. Le registrazioni, durate in tutto quattro anni, sono state condotte in analogico tra la Val d’Arno - buen retiro dell’artista – e lo studio Entry di Roma. C’è la sperimentazione che si riallaccia a Marco Polo. Soprattutto c’è la poesia raccontata e cantata attraverso immagini che scorrono incessanti come cartoline sull’Italia di oggi e di ieri: il profumo del mare, le strade, la geografia a rimarcare il genius loci. Le città, Palermo, Napoli, Roma, Berlino. I paesi, Bosa portata in elogio nell’intensa Tres nuraghes: “ulivi stelle e miniere, Sardegna come un’infanzia…”. La Sicilia, l’Umbria e i luoghi percorsi dal fisico che dà il nome all’album. C’è il mantra-monologo Italia Italia. La favola evocativa Gatton Gattoni (“Io sono il cacciatore con la piuma sul cappello, io sono il cacciatore con la giacca di fustagno, io sono il cacciatore con le braghe a coscia larga, io sono il cacciatore gli stivali col fucile, io sono il cacciatore per il bosco vado a caccia…”, che richiama le fiabe dei Fratelli Grimm). Ma il vero capolavoro, il colpo di genio, si trova a fine corsa. Si chiama La grande distribuzione: un trip sbronzo e semipsichedelico che miscela la new wave dei Diaframma, Land Rover, Burkina Faso, Sud Africa, Summer Card, confidenze, dialoghi privati, voci di guerra, citazioni, il pezzo di Alfio sui boy scouts (“È l’alba è l’alba nel firmamento, è l’alba è l’alba nel cielo spento, che a poco a poco si disistella, è l’alba è l’alba, perché sei così bella?”) e prosegue con i suoni acustici che si amalgamano alle parole: “Donna sei prigioniera della grande distribuzione, tu mi sembri una capinera che solfeggia la situazione” ricordando il Battisti antipubblicitario di Ma è un canto brasileiro o quello più ermetico del sodalizio con Panella. Majorana è un disco già classico e senza tempo. Si tratta di un lavoro estremo fatto di chitarre Fender, Gibson e Rickenbacker, eppure meravigliosamente nitido, addirittura pop nel suo apparire (a tratti) estivo e solare, a partire dalla copertina. Poteva uscire nel ‘79, nell’82, negli anni Novanta o, appunto, oggi. Quello di Giurato è un percorso affascinante nella sua intermittenza. Costantemente ai margini delle classifiche. Sconosciuto al mainstream e fedele a un percorso privato, rispondente a tempi e canoni autoimposti. Qualche anno fa Blob gli dedicò una puntata. Si può vedere su YouTube: “…e ora voglio essere un tuffatore per rinascere ogni volta dall’acqua all’aria”.
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