giovedì 17 luglio 2025

Umberto Palazzo: “Vengo dal punk e sono rimasto punk dentro”

 Radiografia di un successo lo-fi


È venerdì mattina, preparo un decaffeinato e tutto mi sembra così dannatamente a fuoco, ma riesco a capirlo solo dopo centoventi minuti di assalto alle parole di Umberto Palazzo, cantautore e fondatore dei Massimo Volume e dei Santo Niente, che con Stanze e La vita è facile ha cambiato il modo di fare spoken word music negli anni ‘90.

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Io penso che siamo alberi, cioè fatti a strati concentrici e al centro del mio albero c’è sempre quell’adolescente e mi è sempre facile attingere alle sue emozioni e alla sua visione del mondo. Direi che tutto quello che mi piaceva allora c’è ancora oggi e che va bene tutto, perché sono felice di come sono ora oppure forse sono solo un immaturo cronico.

Per me si tratta di spoken word musicale quando musica e parole sono inscindibili. Invece sotto una lettura la musica può essere intercambiabile e basta indovinare l’atmosfera. Nel caso di quel disco i testi esistevano prima e il sound della band fu creato per accoglierli. Erano già perfetti per essere messi in musica, anche se non erano nati per quello.

Io mi chiedo spesso se il mio lavoro sui testi abbia qualcosa di letterario e di poetico e tendo a pensare di no, perché mentre sono certo di essere un songwriter, non sono affatto sicuro di essere un poeta, anzi sono quasi certo del contrario. Io parto quasi sempre dalla musica, anche se si tratta di uno spoken word. In questo caso, riascoltando in loop per giorni la musica che ho composto, aspetto che si formino delle immagini e che le immagini diventino una storia e una volta che ho il finale scrivo il racconto in cinque minuti.

Una delle cose che più mi attirava di Bologna, anche più della musica, era il mondo di Frigidaire, la mitologia di Pazienza, Tamburini, Scòzzari, Liberatore, Sparagna e tutti gli altri, ma ho sempre rifiutato l’eroina perché ho visto gli effetti terribili e devastanti sulla mia generazione ben prima di diventare maggiorenne. Il fumo mi manda in paranoia e mi provoca nausea e quindi, a parte troppi maldestri tentativi di assunzione a fini di socialità, è uscito molto presto dall’equazione.
Aborro la cocaina senza se e senza ma, la considero la vera piaga sociale dei nostri anni. Ho apprezzato molto l’alcol a fini ludici e sociali, ma con l’alcol il divertimento finisce presto perché sotto sotto c’è troppa gente che pensa che sia una medicina, cosa che non è.
Con le droghe propriamente psichedeliche, cioè LSD, funghi e MD ho sperimentato il giusto e ognuno ha il suo giusto, che deve capire prima e alla fine sono le uniche droghe di cui non ho un giudizio del tutto negativo. Per lo meno offrono la dimensione dell’esperienza mentale, che è veramente simile a un viaggio, perché si va in una terra straniera nella testa e si porta indietro un bagaglio di visioni ed esperienze, ma come nei veri viaggi bisogna partire preparati, con tutte le carte in regola, consapevoli del linguaggio e soprattutto con un bagaglio emotivo molto, molto leggero.
Comunque è andata a finire che sono diventato ideologicamente Straight Edge o quasi. La meditazione è stata un passaggio importante, ma il nuoto e le lunghe camminate alla fine ottengono gli stessi effetti. Silenzio, solitudine, movimento e spazi aperti sono la mia cura per l’anima e il terreno di coltura della creatività.
Per quanto riguarda l’atto creativo, quando creo sono sempre lucido e possibilmente di buon umore. Oggi credo che la performance dal vivo vada affrontata in completa lucidità e in assoluta preparazione fisica e tecnica.

Può sembrare strano, ma essere lucidi e al naturale a livelli alti è abbastanza difficile perché con la pressione del successo esibirsi è spesso un’esperienza infelice in cui devi per forza sembrare felice.

Quando ho una melodia questa è regina ed è molto più difficile. La melodia è la musica stessa e arriva dal nulla. Questa facoltà di sentire le melodie nella testa credo sia quello che distingue chi è musicista da chi non lo è. Va da sé che io ho il massimo rispetto per le melodie e per la loro assoluta irrazionalità, quindi mi trovo davanti una sequenza lineare di un certo numero di sillabe con degli accenti obbligatori, quasi sempre senza una metrica regolare. Io so che dentro ogni melodia che sia viva (e che sia viva me lo dice solo l’istinto) ci sono già una storia e un testo e che io devo solo fare da ostetrico a quella storia. In genere è una cosa molto faticosa e succede quando oramai mi sta scoppiando la testa a furia di riascoltare la stessa canzone per giorni e giorni, ma quando succede è bellissimo ed è il momento più soddisfacente di tutto il processo creativo. È come risolvere un’equazione difficilissima.
L’altro metodo, quello prettamente cantautorale, è mettersi davanti a un foglio bianco e scrivere in metrica e poi adattare il risultato a un giro di accordi. Io, in tutta sincerità, non credo di esserne capace, non credo di poter partire solo dalla parola. Quelli che ne sono capaci mi sembrano appartenere a una categoria letterariamente superiore e magari un giorno proverò a scrivere così. Forse, però, perché musicalmente preferisco quelli della squadra “prima la musica” e ho sempre più canzoni da registrare di quante me ne possa permettere.


La solitudine nel momento della creazione è fondamentale. Un’opera è viva se crea un mondo che l’autore può abitare mentalmente e non è una cosa che si possa condividere con gli altri nel momento in cui quel mondo, che poi verrà abitato anche dagli altri, viene creato.

Realizzare la colonna sonora di quel film è stato bello, soprattutto perché ho avuto modo di lavorare in una vecchia sala di montaggio analogica con pezzi di pellicola sparsi ovunque e dotata delle leggendarie macchine Prevost (giganteschi attrezzi di ghisa potenti come un cingolato), negli studi dell’ancor più leggendaria Fonoroma, che è un’esperienza oggi irripetibile, dato che i procedimenti di postproduzione sono stati interamente digitalizzati. Enrico mi fu presentato da Silvia Ballestra, che era una mia buona amica. Silvia è l’autrice de La guerra degli Antò e del recente e ottimo La Sibilla ed esordì sul terzo volume della collana “Under 25” curato da Tondelli per Transeuropa. Tondelli è un’altra delle mie stelle polari ed è bello oggi pensare che all’epoca c’è stato solo un grado di separazione, ma da tipico stupido giovane punk era ovvio e doveroso snobbare le star e i più “vecchi” e non ho conosciuto di persona un sacco di persone che avevo a facile portata di conoscenza, per esempio Dalla. Comunque ho incontrato moltissimi grandi talenti della mia generazione.


La fine del Consorzio Produttori Indipendenti e della produzione della Polygram cambiò tutto in termini di visibilità. Purtroppo nel mondo dello spettacolo la comunicazione suggestiva è quasi tutto e pochi sono in grado di ascoltare senza pregiudizi e con giudizio critico indipendente, quindi chi viene prodotto da etichette meno blasonate o addirittura si autoproduce totalmente come me, ha uno svantaggio incolmabile.
Nella considerazione del pubblico c’è posto solo per pochissimi e la competizione per quei pochi posti è ferocissima e costosa. Ci sono tanti artisti eccellenti, pari a quelli famosi, i cui dischi sono ascoltati da un migliaio di ascoltatori, quasi sempre solo da altri musicisti e addetti ai lavori e che suonano per venti o trenta persone a sera. Purtroppo questo è un limite fisiologico se non si appartiene a una scuderia prestigiosa, se non c’è un produttore che investe molto e, oggi, se non si va nelle playlist editoriali di Spotify.
Per quella che è la mia esperienza anche di direttore artistico e organizzatore di concerti, il successo o semplicemente lo status di artista di chiara fama non nascono dal puro merito, perché alle spalle c’è sempre una collaborazione coordinata fra etichetta e mezzi di comunicazione di settore che, tramite una grande quantità di articoli, interviste, fotografie e copertine, crea la suggestione della qualità dell’artista. Dal mio punto di vista il pubblico “alternativo” non è più curioso del pubblico mainstream né più dotato di senso critico, ma si affida solo a canali diversi perché in partenza disdegna il mainstream. Chi controlla questi canali (e la loro omogeneità di proposta è la prova che sono controllabili), controlla il gusto e il successo con una comunicazione che crea la suggestione della qualità, che a volte corrisponde alla realtà, a volte per niente. Negli ultimi vent’anni, sono scomparse pure la curiosità e l’attenzione per i concerti locali e quindi il riconoscimento fuori da questa dinamica è un cigno nero così raro che non ricordo di averlo mai visto.
Tenere insieme una band oggi mi sarebbe impossibile, è una cosa che si poteva fare solo quando ero giovane. Ci vogliono incoscienza, tempo libero e terreno fertile. Il mio disco preferito è però uno fatto con la band, cioè Il fiore dell’agave, in cui si sente un gruppo che è veramente un unico organismo e musica che è davvero viva, perché è suonata con convinzione ed entusiasmo, da ottimi musicisti in gran forma. Un disco che non mi piaceva ed era pronto, non l’ho fatto uscire ed è giusto che pure io me ne dimentichi.


Il motivo per cui lo tengo sul comodino, ma a disposizione di chi vuole goderne è che faccio tutto da solo e mi manca il tempo per stare dietro a tutto. Ogni tanto mi riprometto di pubblicarlo e pubblicizzarlo a dovere, ma poi preferisco dedicare il poco tempo che ho alle cose nuove.

La musica rispecchia, anzi anticipa la società e la nostra società ha fatto una curva a gomito a destra ed è diffusa una certa tendenza istintiva ad avere simpatia per il potere e il suo antecedente che è il successo. Il populismo e le sue derive social sono armi di rincoglionimento di massa troppo potenti per non essere imbattibili presso le menti semplici e pigre ed è impossibile a un politico vincente (perché non gli porterebbe nemmeno un voto) dire la verità, cioè che quello che stiamo vivendo oramai da decenni non è una crisi, che vuol dire momento di passaggio, ma un declino inarrestabile in cui ogni presunta crisi è invece un momento migliore della fase che seguirà. Siamo un paese con pochi giovani, quindi morente e pieno di debiti che si autoalimentano. L’ossatura economica del paese, che fu di successo mezzo secolo fa, non è adatta al mondo dopo internet, abbiamo perso il treno della globalizzazione e stiamo seguendo il modello argentino dell’insistere sempre nella direzione sbagliata nonostante i continui fallimenti. Credo che il processo sia irreversibile e che i ragazzi lo intuiscano e vogliano solo salvarsi la vita individualmente, perciò considerano l’impegno sociale roba da fessi e invece accettabile qualsiasi modello di successo economico anche se prevede crimine e violenza. Questo è il messaggio che mi arriva in maniera chiara e inequivocabile dalla musica degli under 25.

Per quello che mi riguarda io non ho un messaggio, ma solo delle storie da raccontare in cui forse ci sono dei messaggi. Comunque il testo è al centro di quello che faccio e quando suono dal vivo distribuisco il foglio dei testi, perché spero che l’attenzione dell’ascoltatore si concentri su quelli. Sono uno storyteller funky punk.

Ho ricominciato a pubblicare dischi nel 2020 con l’intenzione di scriverne almeno uno all’anno. Mi piacerebbe anche riuscire a tenere lo stesso ritmo di pubblicazione, ma è impossibile e mi ritrovo già con due dischi completamente scritti, ma da registrare in forma definitiva, oltre i tre pubblicati dal 2020 che sono la colonna sonora di cui si parlava prima che è uscita solo su Spotify, L’Eden dei lunatici che è uscito nel 2020 su vinile e CD ed è sold out e Belvedere Orientale che è il CD che sto ancora promuovendo nei concerti. Il mio stile è cambiato completamente rispetto al minimalismo del passato, che è rimasto solo nei mezzi di produzione. Oggi mi piace lavorare con ricche strutture armoniche, melodie ampie e ritmi funky e suonare con musicisti che abbiano almeno un bel po’ di jazz e black music nel loro DNA musicale e praticare una specie di pop retrofuturista radicato nella seconda metà degli anni Settanta, che sono stati il momento di maggiore raffinatezza armonica della musica pop, però farlo in un contesto di bassa fedeltà molto punk e autarchico. Il fatto è che l’idea minimalista e ripetitiva, semplice al limite della stupidità e oltre, la programmatica assenza di capacità musicale dell’artista e il nichilismo dei testi che furono le idee di rottura del punk, oramai sono state adottate dall’industria del pop per fare più soldi e consolidarsi nel potere e dal mio punto di vista la cosa più punk, più artistica e poetica da fare è andare nella direzione completamente opposta. Ecco, un’altra cosa che non aiuta il successo è avere le idee giuste con troppo anticipo, ma comunque non sono fatto né per stare nella retroguardia nè nel gruppo.
Per quello che riguarda la promozione, porto le mie canzoni direttamente alle persone, quindi cerco di suonare il più possibile dal vivo, anche come busker. A parte che mi piace più di qualsiasi altra cosa, mettersi a nudo davanti a degli sconosciuti solo con la chitarra e la voce è pauroso ed eccitante come saltare in un cerchio di fuoco, perché l’esperienza può essere veramente un’ordalia medievale il cui fine è provare che le canzoni esistono davvero, perché devono arrivare in tempo reale senza il filtro della suggestione da comunicazione di massa e senza virtuosismi. Se c’è un messaggio è che il reale forse può battere ancora il virtuale e che non tutto deve per forza cominciare con un atto di sottomissione al sistema.

LE RAGAZZE ITALIANE

Le ragazze italiane non vengono da Venere,
ma dal Quartiere Latino con una limousine.

Le ragazze italiane si offrono da bere
e ti ripagano mostrando il seno nudo

Le ragazze italiane le trovi nel privé
che bevono champagne col figlio dello Scià

Le ragazze italiane si danno la lingua
s’infilano le dita dentro le mutandine

Le ragazze italiane lo fanno per amore
e per profumi e baiocchi se l’occasione è giusta

Le ragazze italiane se la noia le coglie
al pranzo di famiglia
fanno cose sotto il tavolo
strane cose sotto il tavolo
dolci cose sotto il tavolo

Dio benedica le ragazze italiane,
le cattive ragazze, le ragazze italiane

Dio benedica le cattive ragazze
le ragazze italiane


FONTE ORIGINALE DELL' ARTICOLO 



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