domenica 24 novembre 2024

Emanuele Triglia Kin Moon recensione

 Cu l’a salvari l’alma mia

Cca du mari fu apputtata”


Esistono musicisti che hanno l’abilità di proiettare un fotogramma davanti agli occhi dell’ascoltatore e di trasformarlo in un moto continuo, usando le frasi musicali come fossero sequenze di montaggio di un film. Così, si tramuta la percezione sensoriale dell’ascolto e avviene la sinestesia; oltre alla musica e ai rumori, si sentono le immagini. Emanuele Triglia possiede questo dono. Dopo la vittoria all’ultimo David di Donatello per la miglior canzone originale insieme a Elodie e Joan Thiele, pubblica per Rivamare Records l’album “Kin Moon”.
La formazione si è ampliata, con Emanuele Triglia al basso e al flauto di bambù, Davide Savarese alla batteria, Pasquale Strizzi alle tastiere e agli effetti, Vincenzo Lato alle percussioni e Francesco Fratini alla tromba; si aggiungono Federico Romeo alla batteria, Giulia Gentile ai violini, Simone Alessandrini al sax e al flauto, Alessandro Rebesani (RBSN) alla chitarra e alle voci, e il cantautore calabrese Davide Ambrogio.


L’album si apre con ”Samo”, brano prodotto con la collaborazione di Davide Savarese, QWALE, Francesco Fratini e Vincenzo Lato. L’apertura è in pieno jazz tradizionale spinto ai lati tra world music e groove, dove tutti gli elementi della band sono perfettamente bilanciati in una conversazione sonora che è frutto di influenze di Herbie Hancock. Si prosegue con “Strange Times”, traccia più psichedelica, nella quale il dialogo tra i musicisti si trasforma progressivamente in una jam session. Il disco prosegue, in perfetta sequenza, con “Why Do we Leave”, brano più introspettivo dove intervengono gli archi di Giulia Gentile ed entra in scena il flauto di bambù.
Tassello fondamentale di questo mosaico di sperimentazione è “Pacì”, aperto dal flauto e impreziosito dai campionamenti vocali di Davide Ambrogio, che estrapola una leggenda di marinai e la veicola in un dialogo tra moderno e antico, tra nostalgia e presente, sfumando verso il biancore dell’orizzonte. Il brano, significativo dal punto di vista armonico ma anche simbolico, è composto dai vari elementi immaginifici che ricordano il mare, le onde e le urla dei pescatori.

Chi deve salvare l’anima mia
che dal mare è stata portata via

“Kin Moon” è un album nato dalla sperimentazione nel senso puro del termine. La produzione avviene in una forma che appare quasi improvvisata, come fosse la registrazione di un’unica live session. Durante l’ascolto, traspare la totale sintonia tra Emanuele Triglia e il suo collettivo di musicisti, che riflette il concetto di sincronicità junghiana, ovvero quell’idea secondo la quale persone che non si conoscono, con storie lontane, di luoghi lontani, possono provare lo stesso tipo di emozioni ed essere connesse spiritualmente in modo ineffabile.
Qui la musica non è fatta solo di suoni e di rumori, ma anche di immagini, Emanuele Triglia ci proietta nel vento e sul mare, attraverso echi lontani, in maniera egregia e sottile. Attraverso il suo talento e la sua matura capacità di fondere i suoi luoghi e il desiderio del “ritorno all’osso”, con il jazz contemporaneo, genera una proiezione sinestetica meditativa in chi lo ascolta.



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