Dal blues degli esordi alla codificazione definitiva del Southern rock: 44 anni vissuti pericolosamente tra eccessi, liti, decessi, defezioni e grande musica. La storia della band che più d’ogni altra ha ridefinito il paradigma dei concerti rock, grazie a una voce inconfondibile e a uno stile chitarristico impareggiabile
Chiunque abbia nel sangue un po’ di blues non può prescindere dal suono della slide-guitar. I vari Robert Johnson, Blind Willie McTell, Son House hanno indicato la via ma chi ha messo l’asfalto è stato, senza dubbio, Duane Allman. La sua incredibile tecnica, unita a un suono tagliente e preciso, costituisce tuttora l’unità di misura del talento per innumerevoli chitarristi. Lo stesso Eric Clapton rimase folgorato dalla chitarra di Duane (dopo averlo ascoltato nella versione di “Hey Jude” di Wilson Pickett), tanto da volerlo come guest-star nel capolavoro del 1970 “Layla And Other Assorted Love Songs” pubblicato a nome Derek and The Dominoes. Ma un campione senza una buona squadra è destinato a non andare troppo lontano e i componenti della Allman Brothers Band hanno fornito il contrappunto perfetto al genio indiscusso del loro cavallo di razza.
Due fratelliThe Allman Brothers Band nacque nel marzo del 1969 in un periodo di grande fermento e rinnovamento musicale. Il blues e il rock stavano gradualmente cedendo il passo alla nascente psichedelìa. Gruppi come Grateful Dead, Jefferson Aiplane, Jimi Hendrix Experience, The Doors dominavano la scena. Il concerto di Woodstock, da lì a poco, avrebbe sublimato la “summer of love” in un evento di portata mondiale, sdoganando definitivamente l’Lsd, l’amore libero e i vestiti a fiori. Persino dei rocker irriducibili come i Rolling Stones tentarono un ineguale, quanto controverso, viaggio lisergico con “Their Satanic Majesties Request”. I fratelli Allman, Duane (20 novembre 1946) e Gregg (8 dicembre del 1947) da Nashville, Tennesse, invece erano dei sudisti purosangue. Il blues e il country l’avevano nell’anima e fu proprio un concerto di B.B. King al Nashville Auditorium nel 1959 a mostrare loro la direzione da prendere. Da quel giorno decisero di diventare musicisti. Tornarono a Daytona Beach, in Florida, dove si erano trasferiti dopo la morte del padre, e cominciarono a fare dei piccoli lavoretti dopo la scuola per permettersi di acquistare i primi strumenti con cui studiare. Fu proprio Gregg, nel 1960, a comprare la prima chitarra con la quale gli Allman Brtohers mossero i primi passi. Il talento chitarristico di Duane sbocciò quasi subito mentre si moltiplicavano le loro apparizioni nelle varie band cittadine.
Nel 1965 formarono il loro primo vero gruppo: gli Allman Joys. Dopo innumerevoli esibizioni dal vivo e un 45 giri all’attivo (una versione di “Spoonful” di Willie Dixon), la band si sciolse a causa dello scarso successo. L’ingresso nel mondo discografico avvenne nel 1967. Con il loro secondo gruppo, gli Allman-Act (diventati poi The Hour Glass), ottennero il primo contratto discografico. La Liberty Records permise loro di pubblicare due dischi “The Hour Glass” nel 1967 e “Power Of Love” nel 1968 ma, anche qui, lo scarso riscontro commerciale e l’eccessiva pressione della casa discografica portarono il gruppo allo scioglimento.
Una vera e propria maledizione per i fratelli Allman. Del blues sembrava non importasse più niente a nessuno. Scoraggiati, ma non demotivati, Duane e Gregg presero, per un breve periodo, strade diverse. Gregg si trasferì in California, mentre Duane si mise in cerca di ingaggi. In questa sua continua ricerca accumulò crediti ed esperienza tali da diventare uno dei più richiesti session-man d’America. Divenne chitarrista fisso ai FAME Studios di Muscle Shoals in Alabama ed ebbe occasione di suonare con i più grandi nomi della musica soul: da Wilson Pickett ad Aretha Franklin, da Otis Rush a Percy Sledge. Incise soli memorabili per altri artisti come in “Loan Me A Dime” di Boz Scaggs e nella sovracitata “Hey Jude” di Wilson Pickett. Ebbe, inoltre, l’opportunità di conoscere e collaborare con musicisti di grande talento quali Dickey Betts e Berry Oakley dei Second Coming, ma ormai i tempi erano maturi per il salto di qualità.
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The golden years
Fu proprio durante queste collaborazioni con i Second Coming che Duane Allman capì di avere trovato i musicisti giusti per la band che, già da diverso tempo, aveva in mente di formare. Dickey Betts (West Palm Beach 12 dicembre 1943) si dimostrò ben presto chitarrista talentuoso, capace di tenere testa ai più incendiari assolo di Duane, mentre Berry Oakley (Chicago 4 aprile 1948) fu subito in grado di fornire il collante necessario attraverso le note profonde del suo poderoso basso. La conferma definitiva ci fu nel marzo del 1969 quando un vecchio amico dei fratelli Allman, il batterista Butch Trucks (Jacksonville 11 maggio 1947), organizzò una jam session a casa sua, alla quale furono invitati Betts, Oakley, Allman e altri musicisti tra cui il batterista/percussionista Jay “Jaimoe” Johanson (Ocean Springs 8 luglio 1944). La qualità della performance e l’affiatamento raggiunto stupirono tutti i membri dell’improvvisata band che, da quel momento, decisero di fare sul serio.
Mancava solo un ultimo importantissimo tassello: il cantante. Duane si ricordò di avere un fratello biondo che, però, aveva una voce nera come la notte. Non ci pensò su due volte e gli telefonò per raccontargli del suo nuovo progetto musicale. Gregg Allman si trovava a Los Angeles, in quel periodo, per adempiere gli obblighi contrattuali che aveva con la Liberty Records. La crescente insoddisfazione verso la casa discografica e l’entusiasmo del fratello fecero sì che Gregg lasciasse la California per unirsi alla nuova band in veste di cantante. Il 25 marzo 1969 Gregg arrivò da Los Angeles e immediatamente si unì al gruppo. Durante le prove, Gregg chiese e ottenne di poter suonare l’organo Hammond, strumento che l’aveva sempre attratto, e, nonostante la scarsa dimestichezza, riuscì a trarne un suono talmente pieno e corposo da essere immediatamente riconoscibile. Un suono che sarebbe diventato uno dei marchi di fabbrica del gruppo.Messo a punto il repertorio, la neonata Allman Brothers Band fece il suo esordio sul palco il 29 marzo 1969 al Jacksonville Beach Coliseum. Da quel momento in poi non si fermò più. I concerti furono sempre più numerosi e importanti, tanto da far guadagnare al gruppo la fama di migliore live-band d’America.
Nel luglio dello stesso anno furono invitati all’Atlanta International Pop Festival dove condivisero il palco con artisti del calibro di Canned Heat, Led Zeppelin e Creedence Clearwater Revival. Gli oltre centomila spettatori presenti poterono, così, assistere alla strabiliante performance degli Allman Brothers, in cui blues, jazz e lunghe jam strumentali si fondevano armoniosamente. Il suono era grandioso e assolutamente nuovo. La voce e l’organo di Gregg Allman s’intrecciavano perfettamente con i raffinati dialoghi chitarristici di Duane Allman e Dickey Betts. Il basso di Berry Oakley sosteneva ritmicamente tutte le divagazioni musicali del gruppo, coadiuvato dal drumming torrenziale fornito dai due batteristi: Butch Trucks e Jay “Jaimoe” Johanson.
Tanto talento e tanta perizia tecnica non rimasero inosservati per molto tempo. Durante una delle innumerevoli esibizioni dal vivo, furono notati da Phil Walden, proprietario della Capricorn Records che non esitò a metterli sotto contratto. Con la Capricorn Records, il gruppo fece il suo esordio discografico pubblicando, nel novembre del 1969, The Allman Brothers Band.
Il disco si apre con la strumentale “Don’t Want You No More” in cui i fratelli Allman duettano attraverso i loro strumenti dando vita a fantastici fraseggi. Nel secondo pezzo, “It’s Not My Cross To Bear”, è invece la voce scura e implorante di Gregg a far da padrona. “Black Hearted Woman” dà prova tangibile delle capacità d’improvvisazione della band, mentre il rifacimento di “Trouble No More” è talmente coinvolgente da diventare ben presto uno dei classici del gruppo. La funkeggiante “Hevery Hungry Woman” e la soffice “Dreams” spianano la strada al pezzo di chiusura, quella “Wipping Post” dominata dagli intrecci solistici delle due chitarre.
L’album, fondamentalmente a base di blues, rivelò al pubblico l’insospettata vena compositiva di Gregg Allman, autore di quasi tutti i brani, e l’incredibile talento dei due chitarristi, Duane Allman e Dickey Betts, capaci di far suonare i loro strumenti come fossero due voci.
Nonostante il successo commerciale, la band non perse tempo. Le esibizioni dal vivo crebbero a dismisura tanto da sfiorare i 250 concerti nel biennio 1969/1970. In quel periodo salirono sui palchi dei locali più prestigiosi del momento come il Fillmore East di New York o il Ludlow Garage di Cincinnati e parteciparono a importanti eventi musicali, come la seconda edizione dell’Atlanta International Pop Festival, suonando davanti a folle oceaniche.
In questo turbinio di eventi, gli Allman Brothes Band trovarono il tempo, tra il febbraio e il luglio del 1970, di incidere il loro secondo album: Idlewild South.
Pubblicato nel settembre dello stesso anno, il disco vede per la prima volta Betts nei panni di compositore con le jazzate e vagamente psichedeliche “ Revival” e “In Memory of Elizabeth Reed”. Gregg Allman, oltre alla solita magistrale prova vocale, fornisce il blues vibrante di “Don’t Keep Me Wonderin” (in evidenza la splendida armonica di Tom Douchette e la vorticosa slide-guitar di Duane Allman), le due ballate, “Midnight Rider” e “Please Call Home”, dal sapore country rock, e il funk di “Leave My Blues At Home”. Berry Oakley, da parte sua, unitamente al basso pulsante rivela discrete doti canore nella rivisitazione dello standard di Muddy Waters: “Hoochie Coochie Man”.
Fu l’album della definitiva consacrazione per gli Allman Brothers Band. La critica reagì entusiasticamente e il successo di pubblico fece schizzare il disco in vetta alle classifiche. I membri del gruppo entrarono nell’Olimpo del rock tanto da essere chiamati per collaborazioni importanti. Duane Allman, tuttavia, si convinse che la sala d’incisione, per quanti sforzi si facessero, non riuscisse a catturare in pieno l’energia che si sprigionava durante le esibizioni dal vivo. Programmò, pertanto, la registrazione di un intero concerto. L’occasione si presentò il 12 e 13 marzo del 1971, quando gli Allman Brothers tennero due storiche date al Fillmore East di New York. Il gruppo si presentò all’appuntamento in forma smagliante. Dall’attacco fulminante di “Statesboro Blues” alle sognanti “Stormy Monday” e “Drunken Hearted Boy”, fino alle lunghissime esecuzioni di “In Memory Of Elizabeth Reed”, “Mountain Jam” e “Hot‘Lanta”, la band non si risparmiò un momento. Il pubblico andò letteralmente in estasi e la sintonia creatasi con l’audience stupì gli stessi musicisti. Fu subito chiaro a tutti di aver assistito a un evento storico. Duane Allmann fu il mattatore indiscusso delle due serate, grazie al suono incandescente della sua slide-guitar e alla padronanza assoluta del palco. La registrazione riuscì a restituire abbastanza fedelmente l’atmosfera magica che si creò nelle due serate newyorkesi e, nel luglio dello stesso anno, vide la luce Live At Fillmore East, che sarebbe passato alla storia come uno dei migliori live-album mai realizzati.
Il grande buioCon l’aumentare del successo aumentarono anche i problemi. Già nel marzo del 1971 (subito dopo i concerti al Fillmore East) alcuni membri della band furono arrestati per possesso e uso di droghe. La crescente dipendenza da eroina e da alcol cominciò a farsi sentire ma, nonostante tutto, il gruppo continuò con la sua incessante attività dal vivo, tenendo concerti in ogni parte degli Stati Uniti. Memorabili furono le esibizioni al Boston Common del maggio 1971 e alla Stony Brook University quattro mesi dopo. Una pausa, a questo punto, fu più che necessaria. Dopo due anni vissuti intensamente, gli Allman Brothers Band si ritirarono momentaneamente dalle scene per mettere a punto, con calma, il nuovo materiale da includere nell’attesissimo quarto album. Proprio durante una pausa dalle registrazioni, il 29 ottobre 1971, Duane Allman morì tragicamente in un incidente motociclistico a Macon, in Georgia. Mentre era alla guida della sua Harley Davidson, cercò di superare un camion che, però, gli tagliò la strada. Urtò violentemente contro la parte posteriore del veicolo, morendo sul colpo. Il medico legale affermò che nel suo sangue non vi erano tracce di droga né di alcol. Fu una fatalità. Una tragica, orribile fatalità.
Il colpo per la band fu durissimo. Con la morte nel cuore, i rimanenti membri del gruppo completarono l’album cui stavano lavorando dedicandolo, ovviamente, allo scomparso chitarrista. Il disco uscì nel febbraio del 1972 e fu intitolato Eat A Peach, in omaggio a una frase che Duane disse a un giornalista, pochi giorni prima di morire: alla domanda su cosa stesse facendo per favorire la rivoluzione pacifista dell’epoca, lui rispose: “Ogni volta che sono in Georgia mangio una pesca in segno di pace”. All’interno della copertina, insieme a uno splendido disegno psichedelico, trova posto la commovente scritta: “Dedicated to a brother: Duane Allman”.
Musicalmente parlando, l’assenza del grande chitarrista, all’interno del disco, è pesantissima. Dickey Betts cerca di riempire il vuoto, sia strumentale che compositivo, fornendo gran parte del materiale originale e suonando tutte le parti di chitarra. La tenera “Melissa”, la vigorosa “Les Brers In A Minor” e la delicata “Blue Sky” (in cui canta per la prima volta) confermano il valore di un musicista troppo spesso messo in ombra dal carismatico compagno. Gregg Allman, comprensibilmente poco ispirato, fornisce “solo” due brani “Ain’t Waistin’ Time No More”, un’energica ballata, e “Stand Back”, un rabbioso blues. Le restanti tracce sono costituite da pezzi tratti dalle registrazioni del concerto al Fillmore East, quali “One Way Out”, la già citata “Mountain Jam” e “Trouble No More”. Il disco si chiude con “Little Martha”, fantastico saggio di abilità chitarristica in stile bluegrass, nonché prima e unica composizione di Duane Allman per il gruppo. Il suo testamento spirituale.
Per sfuggire al dolore gli Allman Brothers Band si tuffarono nel lavoro. Ripresero l’attività concertistica e progettarono una nuova uscita discografica. Suonarono al Macon City Auditorium, subito dopo l’uscita di “Eat a Peach”, e in ottobre cominciarono le sedute d’incisione per il nuovo album. Reclutarono il tastierista Chuck Leavell (Birmingham 28 aprile 1952), per dare spessore al sound della band, e si chiusero ai Capricorn Sound Studios per lavorare al disco, intitolato Brothers And Sisters. Proprio durante la lavorazione dell’album, una nuova tragedia si abbatté sull’Allman Brothers Band. L’11 novembre del 1972, il bassita Berry Oakley morì in un incidente motociclistico straordinariamente simile a quello che, l’anno precedente, era costato la vita a Duane Allman. A tre isolati di distanza dal luogo dell’incidente di Duane, Berry Oakley perse il controllo della sua motocicletta andando a sbattere contro un autobus. Ancora vivo dopo lo scontro, Oakley morì qualche ora dopo in ospedale a causa di un’emorragia cerebrale. Fu il colpo del ko per la band. Il disco in uscita fu completato con l’ausilio del nuovo bassista Lamar Williams (Gulfport 14 gennaio 1949- Gulfport 21 gennaio 1983) e fu dedicato al compagno da poco scomparso.
Dal punto di vista musicale, quest’opera evidenzia un cambio di rotta sostanziale nello stile della band. Dickey Betts assume totalmente il controllo artistico del gruppo, imponendo una svolta country al sound degli Allman Brothers. Compone e arrangia la gran parte dei brani in scaletta; canta nel singolo di maggior successo dell’album, “Ramblin Man”; la sua lunga suite strumentale “Jessica” scala le classifiche; irrobustisce il disco con la vigorosa “Sothbound” e l’acustica “Pony Boy”.
Gregg Allman, sempre più lontano dalle logiche del gruppo, si limita a completare le parti vocali e a fornire due brani in palese controtendenza col resto della band: i due blues “Come and Go Blues” e “Wasted Words”.
Cala il sipario
Il successo commerciale di “Brothers and Sisters” fu enorme. Il gruppo venne invitato a esibirsi, insieme a The Band e Grateful Dead, al Festival di Watkins Glen, di fronte a 600.000 spettatori paganti. Offrirono una performance di oltre tre ore ripercorrendo tutti i punti salienti della loro strepitosa carriera. Le forze centrifughe all’interno della band, causate da inconciliabili divergenze artistiche soprattutto tra Betts e Allman, si fecero, nel frattempo, sempre più acute. Nel 1974 Gregg Allman e Dickey Betts intrapresero le rispettive carriere soliste che li allontanarono progressivamente dalla vecchia band. Intanto gli estimatori dello storico marchio aumentarono; tra questi gli esordienti Lynyrd Skynyrd che dedicarono, nel loro primo disco, la bellissima “Freebird” proprio al compianto Duane Allman.
La continua richiesta di materiale inedito fece sì che il gruppo, si trovasse ancora insieme per un nuovo progetto discografico. Nel giugno del 1975, infatti, gli Allman Brothers entrarono in studio per iniziare la lavorazione dell’album Win, Lose Or Draw. Le sedute d’incisione furono, però, disturbate da numerose interferenze. Proprio nello stesso periodo Gregg Allman si trasferì a Los Angeles per convolare a nozze con la collega Cher, allontanandosi sostanzialmente dal resto del gruppo. Gli Allman Brothers, infatti, lavorarono al disco presso i Capricorn Sound Studios in Georgia, mentre il cantante incise le sue parti separatamente ai Record Plant Studios in California. I batteristi Butch Trucks e Jay “Jaimoe” Johanson, dal canto loro, furono sostituiti da due turnisti in alcuni brani dell’album a causa d’impegni personali.
Questa situazione da separati in casa, unita al crescente interesse che la stampa scandalistica dimostrò nei confronti della coppia Cher-Allman, acuì ulteriormente le tensioni all’interno del gruppo. Pubblicato due mesi dopo, il disco risentì del clima instabile in cui fu prodotto anche se le vendite rimasero eccellenti. Persino il prolifico Dickey Betts qui perde l’ispirazione. Delle tre canzoni da lui scritte per l’album, "Just Another Love Song", "High Falls" e “Louisiana Lou and Three Card Monty John" solo quest’ultima entra in classifica. Gregg Allman, ormai sempre più un corpo estraneo all’interno del gruppo, fornisce la scialba title track “Win, Lose Or Draw” e la trascurabile “Nevertheless”. I restanti pezzi sono due cover: "Can't Lose What You Never Had" di Muddy Waters e “Sweet Mama” di Billy Joe Sharver.
A mantenere il gruppo sulla cresta dell’onda ci pensò la Capricorn Records pubblicando, nello stesso periodo, la prima compilation ufficiale The Road Goes On Forever, che ottenne buoni riscontri di vendite.
Le inconciliabili divergenze, musicali e non, tra i vari membri, unitamente a una pesante tossicodipendenza fecero sì che, già all’inizio del 1976, la band di fatto non esistesse più. In aggiunta a questo arrivarono i primi guai giudiziari per Gregg Allman. Il Federal Bureau mise in piedi un’indagine per un sospetto traffico di droga, che lo avrebbe visto coinvolto insieme ad alcuni farmacisti di Macon. Al cantante fu offerta l’immunità in cambio della sua testimonianza in sede processuale, necessaria a incriminare il farmacista Joe Fuchs e il road manager della band John “Scooter” Harring. Al processo Almann testimoniò contro Harring facendolo condannare a 75 anni di carcere. Questo fatto provocò il risentimento dei compagni che sciolsero ufficialmente il gruppo, rifiutandosi, da quel momento in poi, di suonare con lui.
Il breve ritornoA pochi mesi dallo scioglimento, la Capricorn Records, decisa a sfruttare l’immensa quantità di materiale lasciata dalla band, pubblicò un album dal vivo contenente materiale registrato tra il 1972 e il 1975. Il quadruplo Wipe The Windows, Check The Oil, Dollar Gas vide la luce nel novembre del 1976 e, nonostante qualche spunto interessante (ad esempio un’ottima esecuzione di “Ramblin Man”), passò sostanzialmente inosservato. Gli ex-membri si dispersero in vari progetti personali. Dickey Betts fondò i Dickey Betts & Great Soutern, gruppo decisamente orientato verso il country-rock, mentre Leavell, Williams e Johanson confluirono nei Sea Level. Gregg Allman, invece, visse un periodo di profonda crisi personale e musicale. I problemi coniugali dovuti allo stile di vita da superstar della moglie Cher e la pubblicazione di album poco riusciti (vedi “Two The Hard Way”, a nome “Allman e Signora”, in pieno stile Al Bano e Romina) provocarono in lui una forte depressione. Cercò di uscirne con un estremo tentativo. Nel novembre del 1977 comunicò al manager della Capricorn Records l’intenzione di riformare la Allman Brothers Band. Nonostante le resistenze iniziali dovute a vecchi rancori e a carriere soliste ormai ben avviate, i vecchi compagni si lasciarono convincere a tornare insieme.
L’occasione di rinverdire i vecchi fasti si presentò nel luglio del 1978 quando, durante un concerto dei Great Southern, i membri storici del gruppo suonarono insieme dopo due anni di separazione. La storica line-up si presentò quasi al gran completo; solo Leavell e Williams respinsero l’offerta preferendo dedicarsi ai loro progetti solisti. Una volta reclutati i due sostituti, il chitarrista Dan Toler (già membro dei Great Southern di Betts) e il bassista David Guldfield, gli Allman Brothers prepararono il loro nuovo lavoro. Enlightened Rogues vide la luce nel febbraio del 1979 e poté contare su pezzi di assoluto rilievo.
L’album vede la consueta alternanza di materiale originale e cover di altri autori tipica dei lavori precedenti. Ancora una volta Dickey Betts fa la parte del leone, contribuendo con cinque brani su otto: i potenti ritmi boogie di “Crazy Love” e “Can’t Take Without You”, il lungo pezzo strumentale “Pegasus”, la cavalcata furiosa di “Try It One More Time” e l’ottima ballad “Sail Away”. Il contributo di Gregg Almann a livello compositivo è minimo e si riduce solamente alla discreta “Just Ain’t Easy”, ma le sue performance canore sono degne dei tempi migliori. Completano la tracklist due buoni rifacimenti di “Need Your Love So Bad” di Mertis John Jr. e di “Blind Love”, un classico di B.B.King.
Il disco ebbe un buon riscontro di vendite riportando in auge per un breve periodo il nome degli Allman Brothers, ma i tempi cambiarono velocemente.
Il pubblico voltò le spalle al Southern-rock e anche l’interesse suscitato dalla clamorosa reunion svanì velocemente. La Capricorn Records chiuse i battenti a causa di gravi difficoltà finanziarie e il gruppo fu costretto ad accasarsi con la Arista Records. Pur pubblicando due album con la nuova etichetta, gli Allman Brothers subiranno un brusco calo di popolarità.
Reach For The Sky, pubblicato nell’agosto del 1980, fu stroncato dalla critica, riuscendo a piazzare in classifica il solo brano “Angelina” del solito Betts. Gli Allman Brothers cercarono di correre ai ripari operando vorticosi cambi d’organico al fine di rinverdire il loro sound ormai sorpassato. Joe “Jaimoe” Johanson fu licenziato e rimpiazzato dal batterista David “Frankie” Toler e dal tastierista Mike Lower. Gli sforzi furono inutili e anche il secondo album per l’Arista Record, Brothers Of The Road, pubblicato nell’agosto 1981, fu un totale fallimento. Il solo brano di successo fu “Straight Of The Heart”, ancora una volta ad opera di Dickey Betts.
I gusti del pubblico cambiarono definitivamente. Non ci fu più spazio per chitarre slide, organi Hammond e jam strumetali. Arrivò il tempo dei sintetizzatori e delle batterie elettroniche; gli Allman Brothers sembrarono immediatamente indietro anni luce. Presero atto della situazione (e della loro pochezza di idee) e, nel gennaio 1982, ognuno andò per la sua strada.
On the road again
Il percorso dei membri del gruppo durante gli anni 80 non fu certamente facile. Seppur sempre impegnati con le loro rispettive band, nessuno di loro riuscì a ripetere il successo ottenuto con la Allman Brothers Band. Dickey Betts continuò a fare tour e a registrare album di onesto rock con i suoi Grand Southern. Gregg Allman proseguì la sua attività con la Gregg Allman Band, passando tra divorzi, nuovi matrimoni e tentativi di disintossicazione. Più di vent’anni di esperienze e di vita in comune, tuttavia, non poterono essere cancellate con un colpo di spugna. Le due anime del più importante gruppo di Southern-rock mai esistito cercarono in ogni modo di poter suonare di nuovo insieme. Nel 1989 si presentò l’occasione giusta. La Mercury Records pubblicò il monumentale cofanetto Dreams, che ripercorreva l’intera carriera degli Allman Brothers Band: dagli esordi con gli Allman Joys e gli Hour Glass, ai trionfi con la Capricorn Records, fino ai più recenti brani della Gregg Allman Band e dei Great Southern di Dikey Betts. Il risultato fu sensazionale. Il nome del gruppo tornò improvvisamente di moda e i membri fondatori non esitarono a tornare insieme per inseguire l’antico successo. A loro si unirono dei nuovi musicisti, come il chitarrista Warren Haynes (Asheville 6 aprile 1960), il bassista Allen Woody (3 ottobre 1955-25 agosto 2000) e il tastierista/armonicista Johnny Neel (Wilmington 11 giugno 1954), tutti provenienti dalla Dickey Betts Band. Firmarono un contratto con la Epic Records e nell’ottobre del 1990 pubblicarono Seven Turns.
Le cose migliori vengono, tanto per cambiare, da Dickey Betts, come ad esempio l’epica ballata “Seven Turns”, il rock selvaggio di “Good Clean Fun” e la godibilissima “It Ain’t Over Yet”. La restante parte dei brani si assesta su standard più consoni per la Allman Brtohers Band, come ad esempio i blues a base di piano e slide guitar di “Low Down Dirty Man”, “Let Me Ride”, “Gambler’s Roll” e “Shine It On”. E’ il primo album composto interamente dalla band, anche se il contributo di Gregg Allman alla stesura è veramente minimo (si limita a collaborare alla scrittura della sola “Good Clean Fun”).
L’accoglienza, da parte di critica e pubblico, fu abbastanza buona. Gli Allman Brothers trovarono, almeno per un periodo, un assetto stabile e continuarono il lavoro insieme alternandolo con i rispettivi progetti solisti. Nel luglio del 1991 diedero alle stampe Shades Of Two Worlds, album che confermò il felice momento della band. Gregg Allman torna a scrivere, partecipando alla corale “End Of The Line” e proponendo il sofferto blues di “Get On Whit Your Life”. Importante è la partecipazione di Warren Haynes che collabora alla scrittura di quasi tutti i brani. Dickey Betts torna alle vecchie abitudini regalando il lungo brano dai toni vagamente jazzati “King Of Birds”. Il gruppo da comunque il meglio di sé nelle muscolari “Bad Rain”, “Nobody Knows”, “Desert Blues”, nonché nella splendida rilettura di “Come On In My Kitchen” di Robert Johnson.
I concerti rimasero sempre il punto di forza del gruppo che continuò incessantemente a suonare in giro per gli States. Le loro incandescenti esibizioni ne fecero uno degli ensemble più seguiti di sempre, con schiere di fan adoranti. Le tecniche di registrazione fecero passi da gigante, riuscendo a catturare quel sound leggendario fino all’ultima nota.
Nel 1992 uscì An Evening With The Allman Brothers Band: First Set, un album interamente dal vivo che includeva riletture di brani storici, unitamente a successi tratti da Seven Turns e Shades Of Two World, in chiave quasi esclusivamente acustica. Dopo due anni di silenzio e di relativa tranquillità, gli Allman Brothers Band furono pronti per il nuovo album di inediti. Were It All Begins uscì nel maggio del 1994 e vide, per la prima volta, in copertina quel funghetto allucinogeno eletto simbolo della band più di vent’anni prima. È un album estremamente commerciale. Le canzoni perdono la loro natura di cavalcate rock e assumono un taglio più adatto alla programmazione radiofonica. “No One To Run With”, con il suo ritmo palpitante, e l’orecchiabile “Back It Where It All Begin” ottengono un numero spropositato di passaggi in radio. Il blues ruvido degli esordi si addolcisce in brani come “All Night Train” e “Everybody’s Got a Mountain To Climb”, mentre tracce dell’antica grinta si possono trovare in “Mean Woman Blues” e “Sailin’ Cross The Devil Sea”.
Il brano che ottiene maggior successo tra i fan è la splendida “Soulshine”, composta dal solo Haynes. Gregg Allman torna ad avere un ruolo preminente nella band, scrivendo quattro brani su dieci, mentre Betts si limita a comporre “solo” cinque canzoni.
La critica non accolse bene il disco ma il successo commerciale superò quello del precedente Shades Of Two Worlds. L’Epic Records non esitò a pubblicare, a pochi mesi di distanza, il live An Evening With The Allman Brothers Band: 2nd Set, che raccoglie i recenti successi del gruppo rivisitati in chiave acustica. Poco tempo dopo, gli Allman Brothers Band entrarono di diritto nella Rock And Roll Hall Of Fame.
Il successo e la gloria ottenuti non bastarono a placare le tensioni. Il carattere irrequieto dei vari membri del gruppo non esitò a venire fuori e, nel 1997, gli Allman Brothers dovettero fare i conti con nuovi cambi di organico. Warren Haynes e Allen Woody lasciarono la band per dedicarsi esclusivamente al gruppo dei Gov’t Mule. Trovare musicisti affidabili non fu cosa facile. Dopo numerose audizioni, vennero scelti Marc Quinones (New York 1964) alle percussioni, Oteil Burbridge (Washington 24 agosto 1964) al basso e Jack Pearson alla chitarra. Dopo soli due anni, Pearson lasciò il gruppo, ma venne sostituito da “uno di famiglia”: il giovane e talentuoso Derek Trucks (Jacksonville 8 giugno 1979), nipote dello storico batterista della band Butch Trucks. Con l’innesto di Derek Trucks il sound degli Allman Brothers Band ritornò all’antico splendore. La dimostrazione pratica di questa svolta si ebbe nel marzo del 2000. Il gruppo tenne una serie di concerti al Beacon Theater di New York durante i quali girò veramente a mille. I duetti tra la chitarra di Betts e la slide di Derek Trucks riportarono i fan ai tempi di Duane Allman. Dalle serate al Beacon Theater fu tratto un album, Peakin At The Beacon, pubblicato nel novembre dello stesso anno.
Durante queste trionfali esibizioni, le tensioni mai sopite tra Gregg Allman e Dickey Betts sfociarono in un nuovo litigio e quest’ultimo lasciò il gruppo. Non fu mai chiaro il vero motivo della fuoriuscita di Betts dalla Allman Brothers Band. Probabilmente la differenza di vedute e di scelte musicali tra i due era diventata talmente profonda da risultare inconciliabile. In aggiunta a ciò, i continui problemi con droghe e alcol che ancora attanagliavano il chitarrista divennero un problema insostenibile per il resto della band. Al suo posto fu richiamato Warren Haynes, col quale tornarono in studio per incidere Hittin’ The Notes. Pubblicato nel 2003 per la nuova etichetta discografica Sanctuary Records, l’album fu osannato dalla critica. Giudicato il miglior lavoro della band dai tempi di Eat A Peach, non ebbe, tuttavia, un buon riscontro commerciale, a causa degli scarsi passaggi in radio.
Nel complesso è un ottimo disco, dominato da un Gregg Allman e da un Derek Trucks in grande spolvero. Trovano qui spazio le lunghe suite strumentali, tipiche dei lavori di inizio 70, come “Desdemona” o “Instrumental Illness”, accanto ai poderosi blues di “Firing Line”, “Maydell” e “Rocking Horse”.
Da segnalare le due perle acustiche “Old Before My Time” e “Old Friend”, quest’ultima eseguita dai soli Haynes e Trucks, primo pezzo in assoluto inciso senza i membri originali della band. L’innesto di giovani leve sembra aver dato nuova linfa a questi mostri sacri del rock, che trovano l’energia per continuare a calcare i palcoscenici di tutto il mondo.
Il doppio live One Way Out, uscito nel 2004, ripercorre oltre quarant’anni di successi testimoniando, ove ce ne fosse bisogno, l’importanza di una band che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della musica contemporanea continuando a influenzare intere generazioni di musicisti.
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