Heidi for President Nostrils
Sono del parere abbastanza scontato che un disco per dirsi riuscito non debba stancare chi lo ascolta. Anche se il rischio lo corre più volte, non è del tutto il caso di “Nostrils”, disco d’esordio di Heidi for President, che per fortuna a tratti riesce a destare l’attenzione persino del cuore arido di chi è abituato ad ascoltare tanta, tantissima musica.
Gli intenti sono chiarissimi sin dalla prima traccia, che intreccia parti strumentali elaborate al modo delle cose migliori di
Saxon Shore e della tradizione post rock della prima decade dei 2000. Già la track successiva, che dà titolo all’album, risulta però monotona, e le reminiscenze alla
The Cure ci sembrano una motivazione troppo debole per evitare lo skip. “Whom” in questo intento riesce, le voci calde scivolano perfettamente intessute in un solido arrangiamento acustico di fondo. Il brano, nonostante la partenza eccellente, scade un po’ nella banalità nel refrain vocale, per poi tornare di nuovo a riprendersi nella parte strumentale centrale. Chiama nuova audacia la successiva “Mr Hubert Cumberdale” in cui gli arrangiamenti vagamente folk rock, accurati, alla
The Lumineers, non bastano a far apprezzare appieno la compiutezza del brano, sempre caratterizzato da una struttura un po’ troppo semplice e che alla lunga affatica. Si sentono gli
Arcade Fire oppure gli impianti armonici di
Vampire Weekend, ma anche le armonie vocali di
Stars, in molte scelte, che purtroppo causano quello spiacevole effetto di già sentito, come nel brano “Growing Green Time” che insieme a “Nasty Tasty Blow” resta una delle cose migliori di tutto l’album
Sa tanto di annate 2007/2008 questo esordio degli Heidi for President. Ma la domanda sostanziale è una: a che serve produrre qualcosa che si potrebbe già trovare, all’ennesima potenza, in un passato internazionale già di per sé glorioso? Siamo tutti d’accordo che siamo nani sulle spalle di giganti, ma qui i giganti restano giganti e i nani nani - e non c'è con questo lavoro alcun apporto innovativo o contributo emozionante alla comunità. “Dawn” e “Portrait of an artist as a young dog” chiudono un disco che potrebbe essere molto di più. Ma si accontenta e quindi non accontenta.
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