Un disco come fotografia fuori fuoco, l’istantanea dei giorni attuali con il passato che si agita alle nostre spalle. L’amore ai tempi della guerra e sullo sfondo luci di guerra. Il linguaggio è frammentato, indugia appena, cut up di nostalgiche citazioni e pennellate brevi di verità si incastrano perfettamente giocando con i guizzi sonori della disco anni Sessanta. E ballando si mescolano immagini di un’epoca vissuta nelle riviste, in vecchie fotografie, sui vestiti vintage. Amanda Lear è il baluardo della nostalgia, la ricerca dell’immagine perfetta di noi stessi, l’ammissione della liberatoria e sacra fine di un amore. Phatos disteso e serico a perorare strofe e melodie: Betty ci parla di un’adolescente sintetizzata tra solitudine facebookiana e dipendenze varie. Con il mordente della poesia, si susseguono gli scatti di una contemporaneità malata nel pop elettronico di Eurofestival: “chi siete voi chi siamo noi / chissà quest’anno cosa andrà di moda”. Ci sono poi episodi malinconici tra sesso e frontiere politico-sociali come in Lepidoptera introdotta da un funky elettronico e capace di sciogliersi in una ballata lentissima. “La vita è bella/ gli studenti hanno distrutto la città e le statue degli dei”: ne La vita c’è un’orchestra carezzevole che sospinge un messaggio positivo e rassicurante. Un vento benevolo attraversa L’era dell’acquario. Qui il terrorismo che separa e immobilizza viene lasciato alle spalle come brutto ricordo, immaginando futuri giorni di pace, serenità e fratellanza.
I Baustelle se ne fregano delle critiche musicali, dei confronti col passato e con le prospettive future. L’amore e la violenza riesce in una visione lucidissima. Dolce-amaro e folgorante disco, lascia dietro di sé una scia di riflessione e buoni motivi per camminare oltre le rovine.
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