venerdì 11 agosto 2017

Alberto Camerini

"C'è questo tipo strano/ vedrai ti piacerà
Lui suona la chitarra/ in una rock'n'roll band.
E' come un Arlecchino/ ma non si rompe mai
Se attacchi la corrente/ si accende e partirà"
 
 
 
 
 Alberto Camerini ha conosciuto il momento di massima popolarità tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli 80, soprattutto grazie all'intuizione che ebbe nel riconoscere l'importanza del look e facendo del travestitismo la sua forza maggiore.
Ma procediamo con ordine: i Beatles sperimentarono e/o divulgarono il concept-album. Non più tante canzoni sparse ma un "insieme" di canzoni che offre la possibilità di essere letto in chiave monotematica, quindi pezzi collegati fra loro da uno o più elementi comuni, siano questi musicali, lirici, d'atmosfera o tutto insieme.
David Bowie fece dell'intera sua carriera un concept-album: brani che derivano dai precedenti e anticipano i successivi, magari di un altro Lp, e ogni Lp è collegato a quelli precedenti e a quelli che verranno, mentre le storie continuano, si incrociano, si richiamano. Da questo punto di vista, Camerini è il nostro piccolo David Bowie; Arlecchino, come Ziggy Stardust per il cantante inglese, si rivelerà una maschera a volte perfino difficile da eliminare.
La sua opera, dagli inizi fino ai nostri giorni, si presenta quindi come un continuum, formato da alcuni temi ricorrenti: quelli musicali (sperimentazione e tradizioni), quelli iconografici (il Carnevale e le maschere) e quelli testuali (l'incomunicabilità).

La musica

Alberto Camerini nasce in Brasile, da genitori italiani, torna in Italia ancora bambino e inizia precocemente la carriera musicale, lavorando come chitarrista nelle sale di incisione. Partecipa alla realizzazione di numerosi album, anche di artisti affermati come Patty Pravo, Ornella Vanoni, Area, Stormy Six, Equipe 84, Eugenio Finardi (col quale forma anche un gruppo: "Il Pacco")…
Nel '76, fiancheggiato da illustri collaboratori come Patrizio Fariselli, Paolo Tofani, Lucio Fabbri, Lucio Bardi, Pepè Gagliardi, Paolo Donnarumma, e, in un secondo tempo, l'amico Roberto Colombo (già arrangiatore di vari artisti tra cui Fabrizio De André nel concerto con la Pfm) si mette in proprio e per i primi due-tre anni inizia i suoi esperimenti nel tentativo di creare una forma di pop moderno servendosi non tanto (non solo) dei paradigmi classici (blues, country, rock'n'roll, beat, folksinger ecc.) quanto dei ritmi e delle sonorità della sua terra: il Brasile.
"Sono nato nel sole di un paese grande - racconta - che libero forse non è stato mai, un paese grande, di gente felice, di grandi foreste e di grandi città…"
Per cui ecco che all'elettronica, ai sintetizzatori, all'elettricità degli strumenti, alla forma-canzone tipicamente rock, Camerini aggiunge samba, danze Catira degli indios, percussioni marimba, saudade, liturgia macumba, l'afoxe di Bahia e tutti i generi che compongono quell'eterogeneo melting pot di una nazione grande, molto particolare, in cui si sono assimilate influenze di tutte le popolazioni, in cui hanno convissuto il voodoo, il condomblè, le leggende dei pirati e cercatori d'oro, le orchestre dei musicisti jazz (la bossanova) ecc.

Ares Tavolazzi, ex bassista degli Area, partecipa alla realizzazione del secondo album (oltre ad esserne anche il produttore) suonando basso, chitarra portoghese e violoncello. Lo stesso Camerini si diletta con gli strumenti più inconsueti, dal mandolino fino alla programmazione dei campionatori.
Il cambio di etichetta (dalla Cramps alla Cbs) segna anche il passaggio, in modo ancor più evidente, degli interessi del cantante verso l'elettronica, e dà il via alla parentesi fortunata durante la quale le sue ricerche lo portano, per un certo periodo di tempo (1980-1984) a successi commerciali, dischi di platino, prime pagine di giornali specializzati, inviti a trasmissioni televisive e anche partecipazioni a vari festival (che, in qualche modo decretarono la fine di quel momento aureo in cui la sua band arrivò a servirsi addirittura di cinque sintetizzatori!).
Successivamente disgustato dalle castranti quanto miopi imposizione della nuova casa discografica, Camerini decide di concedersi del tempo per riflettere, per studiare e per maturare, forse anche costretto a questa scelta da problemi di salute e personali. Lo farà in Brasile e a Venezia. E non sarà un caso.
Tornato con l'idea di starsene più in disparte, di appoggiare la causa dei centri sociali, di fare spettacoli in piccoli spazi in cui avere un rapporto più stretto col pubblico, dopo un impacciato tentativo di autoproduzione con l'album Dove l'arcobaleno arriva (1995), riprende le sue sperimentazioni, soprattutto quel tentativo di mantenere vive le tradizioni popolari senza rimanere arretrato in campo rock, senza mai cadere in alcun tipo di revival e senza cedere allo "strapotere" anglo-americano. Così amplia i suoi orizzonti proponendo anche i generi tipicamente italiani che, tra la fine del Seicento e l'inizio dell'Ottocento, sfondarono in tutta Europa. Esperimenti nobilissimi che forse pochi hanno avuto modo di apprezzare. Per i più, Camerini resterà soltanto l'Arlecchino elettronico, più commerciale ed esibizionista.
Tra l'altro, anche durante il periodo di maggior notorietà, Camerini non si abbandonerà mai alla commercialità facile. Appassionato studioso di Commedia dell'Arte e delle controculture nella storia e nel mondo, semplicemente capisce, come già tanti avevano fatto da tempo fuori dall'Italia, che l'immagine è componente fondamentale nell'universo della musica pop. E per un po' si diverte a giocare. Ma fra una chitarra dalla forma strana e un'acconciatura bizzarra, fra un "Tanz Bambolina" e un "Rock'n'roll Robot" (massimo successo di sempre), nei suoi album compare immancabilmente ora un pezzo ska, ora un'arietta veneziana del XVIII secolo, ora una ballata, ora un brano in chiave salsa, sempre sotto una veste comica e divertita.

Il carnevale

C'è qualcosa in comune fra il Brasile e Venezia, città in cui Alberto si reca per studiare dopo gli otto anni di instancabile lavoro e dopo i tre-cinque di grandioso successo, ed è il Carnevale. I testi delle canzoni di Camerini, le atmosfere, i racconti, ci portano spesso al Carnevale. Una festa dai sapori ancestrali, tipicamente popolare che, da sempre, ha camminato a braccetto con la musica (i canti carnascialeschi del Rinascimento... il soul e il funk durante il Carnevale di New Orleans…)
Camerini propone il Carnevale al pubblico della musica leggera in chiave rock, anzi, new wave.
E' un banchetto di maschere il mondo di cui canta, un enorme e sfavillante Carnevale, come potevano apparire anche le città del Movimento, Roma, Milano, Bologna, polveriere in subbuglio, post-77, che lasciavano brulicare tossici, artisti, politici, terroristi… C'era l'Ultima Spiaggia, gli Area, la Harpo's Bazar, la Cramps, l'eroina, Re Nudo, Cannibale, Il canzoniere del Lazio, Gianfranco Manfredi, Finardi, le radio libere, i carrarmati…
Anni di smarrimento, di freddo, di incomunicabilità, e le uscite, gli orizzonti possibili, le vie di salvezza, almeno musicalmente, erano principalmente due: il "no-future" del punk, oppure il mondo virtuale della new wave. Camerini si ritrova più in quest'ultima espressione, e ci canta la mutazione da uomo a robot, da essere intelligente a computer, da pensiero/idea a elettronica (con "Computer Capriccio", nel 1983, Alberto si presentò al Festivalbar).

Ma il suo Carnevale è un Carnevale anche di suoni, che non attinge quasi mai dal genere più convenzionale dei cantautori: mai le parole, le frasi, sovrastano la musica, mai cerca una astrusa costruzione musicale che riesca a contenere un messaggio che non sta nella battuta. Non ce n'è bisogno. Questa operazione, tipicamente italiota, è negata proprio perché il messaggio, in quanto contropartita naturale del pensare/vivere "ordinario", è il bersaglio di Camerini.
Il messaggio sta nella musica, se proprio lo si vuol trovare, nelle melodie gradevoli, ma anche insolite, nelle sonorità, nelle rumorosità.
In questo senso si può anche parlare di musica demenziale: perché Camerini si diverte. Sperimenta, ironizza, ammucchia, mescola, ride e fa ridere.
In opposizione al grigiore e alla glacialità dei paesaggi descritti dai vari Joy Division, Fall, Pere Ubu, Suicide, il nostro ci mostra la sua curiosità, la sua ironia, la sua follia se vogliamo, e in fin dei conti ciò che ci mostra è il suo trovarsi bene in questo mondo di maschere. Travestito dichiaratamente da Arlecchino, disambientato, cerca di cambiarlo deridendolo, canzonandolo, facendo notare le contraddizioni, le maschere che sono in (e di) ogni persona, i ruoli già scritti, la continua imitazione/simulazione, i simulacri.
Pare quasi di scorgere, nei versi di Camerini, il pensiero di Baudrillard: la società è destinata all'implosione, in quanto il percorso intrapreso è quello del simulacro, della reiterazione infinita di modelli di cui si è persa la memoria originale; la realtà è stata sostituita da una iper-realtà promossa dai mass-media e dalle multinazionali. E ascoltando le canzoni, le vediamo quasi scorrazzare, le tante marionette che popolano questa iper-realtà: "la gente, gli sconvolti, i danzatori, i maghi, i clown, gli scocciatori, i parlatori, i politici, i filosofi, i poeti, i giocatori" ("Macondo" - 1978), "il Presidente, la mafia, i terroristi, la camorra" ("Maccheroni Elettronici" - 1982), "signori, signore, amici, compagni, spettatori, grandi e bambini" ("Gelato Metropolitano" - 1977)
Ancora maschere quindi, tutti personaggi che giocano (senza saperlo?) a recitare questa o quella parte e per le quali Camerini non sembra provare molta simpatia.
Lo stesso Movimento (compagni… rivoluzionari… il ristorante dei fumetti…) è troppo cupo, troppo arrabbiato, ormai privo di ironia.
Camerini ama di più i vari Pantalone, Ricciolina, Serenella, Pulcinella e Colombina. Ama se stesso: Arlecchino, il clown folle ridisegnato per i nostri giorni. Ballerino, trascinatore e innamorato come sempre, ma anche schizofrenico, impasticcato e nervoso. Comunque allegro, e ogni canzone porta con sé e dona una fetta di quella irresistibile allegria.

L'incomunicabilità

Fortunatamente non è solo così. Fortunatamente, tra i giochi e le risate, c'è anche una linea d'ombra. Ed è proprio quando viene a crearsi la magica fusione tra la malinconia della linea d'ombra e la gioia epilettica del nostro clown elettronico, che si toccano le vette più alte.
Tornando brevemente, e approssimativamente, a Baudrillard e alla sua denuncia della perdita dei valori nella tecnostruttura in cui viviamo: la modernizzazione trionfante ha cancellato ogni prospettiva di fuga. Il futuro, come si diceva, non c'è. Siamo destinati a implodere a ritmi vertiginosi. Forse solo la "seduzione" può aprire uno spiraglio. Il concetto di seduzione è quello di cui si servì il sociologo francese, in un secondo tempo, per schiudere, nel drammatico panorama che le sue idee offrivano, un fievole barlume di salvezza. La seduzione è uno scambio non necessariamente solo simbolico. Un sentimento come l'amore, anche solo come desiderio di sesso da donare/ricevere, è un impulso che ancora può dire qualcosa nonostante l'ormai antica speculazione cui è stato soggetto, e può ancora dire qualcosa perché è forte, sfuggente, non completamente controllabile. Sedurre significa rapportarsi con altre persone, capire l'Altro, capire anche se stessi. E' trasgressione. E' anti-riproduzione.
Così il nostro Arlecchino prova, cerca di sedurre, di essere sedotto, ma ci tiene a far notare quanto ciò risulti complicato. Il livello di incomunicabilità a cui siamo arrivati è un ostacolo gravoso che il clown, con ironia e con follia, tenta di superare continuamente. Non è importante che ci riesca, per la riuscita del pezzo, ma ciò che risulta fondamentale è che ci sia il tentativo, la consapevolezza che, in un mondo di macchine, questo tentativo può anche fallire, il velo di incertezza, il dubbio, lo smarrimento nel riscontro del vuoto altrui. E' tutto questo che si fonde mirabilmente nell'universo sonoro di Camerini. E' questo che ci esprime la sua musica.
Si prenda "Tanz Bambolina" (1982), ad esempio, "Come faccio a dirti/ vuoi ballar con me/ se non riesco a dirti/ che ti amo già" oppure "Basta che mi accendi/ sintonizzati con me/ basta che mi cerchi/ io sarò vicino a te" ("Sintonizzati con me" - 1980) o ancora: "Vorrei saper dirti tutto ma se ti vedo vado in palla e riesco solo a dirti che… bip bip rock bip bip rock…" ("Bip Bip Rock" - 1981). Pura incomunicabilità.

Arlecchino elettronico

Resta il fatto, certo, che Camerini in questo mondo che evolve verso il nulla virtuale, verso la vittoria dei mass-media, dell'informatica e della televisione, ci sguazzi divertito, ai lati, ridicolizzando se stesso e la società tutta, a partire dal basso, dai valori, dai principi, dalle tradizioni, dai luoghi comuni, dai falsi miti ("Cenerentola" - 1976). Ed è anche facendo uso di prodotti artificiali che il moderno Arlecchino riesce nel suo intento dissacrante e ci mostra come, in mezzo al grande pasticcio dei nostri tempi, nel gigantesco ristorante, fra gli sfarzi e le ricchezze inutili, fra i succulenti e svariati cibi che sempre fanno capolino nei testi delle canzoni e che, ancora una volta, fungono da simboli in un sistema di simboli, ecco che compaiono elementi destabilizzanti come il "pane quotidiano", il "gelato metropolitano", i "maccheroni elettronici", "l'amica che dà tanta allegria con i suoi vestiti bianchi e i suoi sorrisi colorati"…

Del resto la maschera di Arlecchino nacque nella Commedia dell'Arte dal tipo generico del servo, e racchiude in sé e nell'immaginario comune molte delle caratteristiche che servono a Camerini per esprimersi, utilizzando queste caratteristiche a suo piacimento, ricontestualizzandole, riproponenedole in modo nascosto, oppure ripetendole fino all'ossessione, stravolgendole.
Il nome "Arlecchino", ad esempio, secondo alcuni studiosi deriverebbe da "Hellequin", un origine demoniaca, quindi, che calza a pennello se si pensa alla figura (e anche alla vicenda umana) del cantante. Arlecchino è anche il servo sempre affamato, e infatti il cibo è un elemento che ricorre all'infinito nei pezzi. Arlecchino è un po' furbo, Arlecchino presenta un abito di tanti colori e, associando l'immagine policroma che crea nella mente questa maschera, viene naturale anche il paragone con la musica che nasce dall'eccentrico Camerini, oltre che con le allucinazioni da acido.
Inoltre, Arlecchino ha subito tante trasformazioni nel tempo, e allo stesso modo il nostro artista brasiliano. Ma qui, forse, esiste un parallelo ancor più sottile: è infatti l'uomo che ha subito innumerevoli trasformazioni nel corso della storia e, in questo nuovo millennio, si trova a dover affrontare la mutazione genetica più radicale, cioè quella in macchina. E la mutazione è anche quella da rocker a cyberclown: l'ultima maschera di Camerini, passata, naturalmente, attraverso il rock'n'roll robot.

La lateralità

Camerini è un personaggio laterale, dinamico, non imprigionabile in clichè, e dal suo gioco di simboli, ne esce non-simbolo. Forse un robot, forse Arlecchino, forse un extraterrestre ("Neurox", 1978, il proto-cyberclown), forse semplicemente un cantautore trasformista, forse un pazzo, forse un buffone, ma, di certo, fra tutti questi "forse", rimane di lui un'immagine scivolosa, che non si fa acciuffare e che, in questo grande teatro, vi entra solo per un motivo: per spogliarlo e deriderlo, rimanendone a lato.
Ancora oggi lo si può rintracciare nei più disparati rifugi, strimpellare con la chitarra acustica antiche canzoni settecentesche, lontane melodie mediterranee intrise di melodramma e psichedelia ("Diamantina" - 1995), capolavori come "Cyberclown" (2001), oppure samba e antiche canzoni popolari brasiliane di protesta (da Ernesto Dos Santos passando per altri compositori minori o semi-sconosciuti).
E' perfino facile, ultimamente, scovarlo sui palchi di fumosi centri sociali, sostenuto dai più "arrabbiati" estremisti della triste scena hardcore italiana, alle prese con il punk più sbracato o con smaliziate canzoncine ska. La sua attuale band, la "Skidsoplastix", è formata, oltre che da un fine chitarrista jazz, da un bassista proveniente dal combo dei Punkreas e dall'ex batterista dei Pornoriviste, oscuri figuri dimostratisi pronti, in ogni caso, a "sporcarsi le mani" per questo Grande Vecchio, riconoscendogli, fra le altre cose, di essere stato uno fra i primi, con pezzi quali "Divo divo", "Poliziotto per favore", "Comici cosmetici" (tutti brani datati 1978) a pasticciare con il punk in Italia e di essere stato uno fra i primi, se non proprio il primo, in questo caso, a introdurvi lo ska, con pezzi come "Ska-tenati" (1980).
Uno dei limiti, se vogliamo, è rintracciabile proprio nella discontinuità: a guardar bene, infatti, quasi nessuno dei suoi album convince da capo a fondo. Perennemente instabile, spesso sopra le righe, durante la sua trentennale carriera Camerini ha sempre affiancato a canzoni straordinarie altrettanti pezzi non riusciti, a volte (forse) pretenziosi, a volte (forse) troppo deboli o incompiuti ma, paradossalmente, si potrebbe interpretare anche questo aspetto come sintomo della genialità, o quantomeno dell'eccentricità del personaggio: il suo non dare certezze, il suo non farsi capire, lasciando sempre il dubbio che, forse, qualcosa da capire c'era.
E possiamo anche concludere con una frase di Roberto "Freak" Antoni, che parlava degli Skiantos (altri illustri iscritti alla Cramps degli anni d'oro), ma che può, in qualche modo, essere "girata" benissimo anche a Camerini: "Contaminare con una violenza tutta concettuale il prevedibile mondo del buon senso, a una poetica alta, da grande artista, contrapporre una poetica bassa, da artista sconnesso. Il pubblico guarda male, ti sorprende a farfugliare, a biascicare cose strane in rima baciata da scuola elementare, oppure ti sente urlare frasi in gergo, come se parlassi (solo) ai tuoi complici, e si chiede se sei furbo o cretino, se la tua è una scelta o un tentativo miserabile, se hai cultura, dignità, consapevolezza, o sei un bluff".
 

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