Il grande freddo
Non è per metterla subito sui meta-significati, ma il grande freddo è soprattutto nei cuori. Nei cuori in inverno, e “nell’amore perduto/sprecato/abbandonato negli autobus”, stando alla poetica chiaroscurale di Claudio Lolli. C’è da dire inoltre che Il grande freddo suona come titolo da fine-corsa. Titolo da fine-sogno. Titolo da fine-mondo. Preludio a un disco esistenzialista, inconsolato e atroce. Sommessamente atroce: il racconto di fatti/condizioni alquanto tristi somministrati con garbo. Dentro e fuori le righe - dentro e fuori parole e musica di questo grande freddo – c’è la malinconia sopravvissuta ai vecchi calendari, ai vecchi sogni, ai vecchi amori, alle battaglie perse e a quelle vinte. C’è la malinconia dei disillusi, degli imbattuti, dei sopravvissuti forse persino a se stessi. Dato l’andazzo delle cose, una sorta di stato esistenziale perenne: uno iato che tende alla voragine-tentazione della non-appartenenza. E così i catecumeni del “canta che ti passa” sono belli che serviti. Con le canzoni di Claudio Lolli non ti passa mai, anzi ti viene. Come ti viene al cospetto della vera poesia: quintali di peso specifico, diverse suggestioni, nessun analgesico, zero romanticume e idem piagnistei
Mi ci gioco l`edizione originale del suo Aspettando Godot che con la scusa di Prigioniero politico qualcuno ricamerà ancora sulla solfa di Lolli tutto impegno e malincuore (fuori tempo massimo), quando proprio Prigioniero politico, lo piazza lontanissimo dal clichè. Attestato piuttosto in zona ontologico-letteraria via canzone d’autore, e certo non da adesso. Tre immanenze, piuttosto. Tre ombre nere, tre fantasmi si aggirano per il cd: il primo è quello della fine (fine fisica, ma in traslato, anche ideologica e relazionale), il secondo ha a che fare col disinteresse (specifico di una sub-umanità ormai incapace di alcuno slancio), il terzo è quello della politica (divenuta sub-politica a sua volta). Ciascuno una declinazione icastica della Deriva (ultima foce del Grande Freddo), che Lolli richiama dal rimosso senza ostentazioni esorcistiche: lo fa per tappe, schegge, ricordi, libere associazioni (a cominciare da quelle cinematografiche, kasdaniane, da cui il disco discende). Nove flashback. Nove frame. Nove stanze di vita quotidiana. Pubblica e privata. Canzoni pre-disposte a più livelli, adese ai fili rossi plurimi del comune presupposto ontologico (La fotografia sportiva), della distanza, del tempo che passa (Non chiedere, Prigioniero politico, Principessa Messamale), dell’intirizzimento sentimentale (Il grande freddo). Della vita che (r)esiste nei succedanei in fondo sempiterni della speranza, dell’amore o della (sua) illusione (Raggio di sole).
C’è poi che Il grande freddo ha un booklet di un’eleganza assoluta, delittuoso non citare: lo firma Enzo De Giorgi, che traduce in grafica i sensi impliciti ed espliciti del concept-album. C’è poi - ancora - che Il grande freddo è suonato al punto giusto, rimando a un disco pensato e scritto al punto giusto. Suonato dagli ex del Collettivo Autonomo Musicisti di Bologna: Danilo Tomasetta (sassofoni) e Roberto Soldati (chitarre), con il significativo supporto di Felice Del Gaudio (basso e contrabasso), Lele Veronesi (batteria e percussioni), Pasquale Morgante (piano e tastiere). Un disco scaturigine di lavoro di squadra (c`è anche l`immancabile Paolo Capodacqua alla chitarra). Per Lolli il ritorno a un disco solo inediti, era dal lontano La scoperta dell’America (anno di grazia 2006) che non gli succedeva di pubblicarne uno. Il grande freddo è infine il disco dove Lolli ha ripreso a cantare (piuttosto che, per lo più, interpretare). E la sua voce è quella di sempre, la voce che amiamo e che sappiamo a memoria. Quella “piena di ragni, di granchi, di rane/ e altre cose un po` strane” (Autobiografia industriale, 1977). La voce profetica (e inudita?) di colui che grida nel deserto dell’omogeneizzazione. La voce lungimirante. Irredenta. Inesausta. Generazionale. Poetica. In primo luogo poetica, di Claudio Lolli.
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