lunedì 12 giugno 2017

Paolo Benvegnù – H3+

PROTAGONISTI: PAOLO BENVEGNÙ: voce e programmazioni, LUCA “ROCCIA” BALDINI: basso, ANDREA FRANCHI: chitarre, percussioni, MARCO LAZZERI: pianoforte, tastiere, continuum, CIRO FIORUCCI: batteria, programmazioni.
 
SEGNI PARTICOLARI: H3+ è il quinto album solista di Paolo Benvegnù, uno dei personaggi più rappresentativi ed emblematici della musica italiana, già leader della band di culto degli Scisma. Si tratta del lavoro conclusivo di una “trilogia dell’uomo”, un viaggio a tappe all’interno dell’anima, iniziato con Hermann (2011) e proseguito con Earth Hotel (2014).
 
 
INGREDIENTI: Lo ione triatomico d’idrogeno, H3+, è una molecola che l’uomo ha scoperto circa un secolo fa e che è così diffusa nell’universo da poterla definire la sua “particella base”: riempiendo le distese di vuoto nello spazio interstellare, potrebbe nascondere i segreti della formazione delle prime stelle dopo il Big Bang. Siamo di fronte ad una testimonianza dell’origine del mondo, un tema che ha affascinato filosofi, poeti e cantanti di ogni epoca. Questa premessa “scientifica” è un atto dovuto per comprendere il titolo dell’ultima fatica di Paolo Benvegnù, che ha scritto dieci canzoni unite da una materia comune, la stessa di cui è fatto l’uomo: una mescolanza di odio e amore, ma anche desiderio, vendetta e sofferenza.
 
 
Gli ingredienti di H3+, quindi, sono chiari: l’uomo resta il centro d’interesse per il cantautore milanese e per cantarlo musica e parole si fanno un tutt’uno. Consigliamo vivamente di leggere questo album, di prenderlo come un romanzo in musica, perché le parole sono una parte fondamentale di quest’opera. I testi dei brani vanno letti mentre la musica scorre, perché questa vera e propria antologia di emozioni ha saputo unire al meglio i due aspetti, in una fusione che difficilmente abbiamo ascoltato altrove.
 
Nei brani Benvegnù si trasforma in un viaggiatore spaziale, che abbandona il pianeta Terra per conoscere l’uomo e lo ritrova solo nel buio della sua inquietudine. Si parte con Victor Neuer, uno dei tanti personaggi frutto dell’immaginazione di Paolo: attraverso questo esploratore stellare il cantante può interrogare la dea del Silenzio e quella dell’Attesa e chiedere cosa ci sia nel vuoto, se solo “Stringhe ordinate di numeri”, “infinite distese di Sale” o magari l’“estasi di un canto”. Eppure, il vero problema del nostro viaggio è che gli strumenti con cui pensiamo di dare risposta alle nostre domande sono sbagliati o insufficienti, perché “l’intelligenza è falsa” (Macchine). Siamo, in quanto uomini, monchi e imperfetti – e la nostra ricerca di ciò che è intatto, esatto, sommerso non può che essere fallimentare. Lasciamo così il pianeta terra, a bordo di un’astronave: Goodbye Planet Earth  è un racconto che omaggia David Bowie e la sua “Ashes to ashes” nella musica, nell’uso delle voci e nel tema del testo. È la bellissima Olovisione in parte terza a riportarci sul pianeta Terra: una ballata che regala emozioni, in cui la distanza siderale dal proprio amore non esclude la magnifica possibilità di incontrarsi, finalmente. “Ma quando torneremo a toccarci saranno i Demoni dell’Amore a ritrovarci”, canta Paolo. Difficile, quindi, difficilissimo. Ma perché negarsi la possibilità di definirsi in base all’incontro con l’altro? La definizione del sé passa quindi dal riflesso nell’altro, e arriviamo in quello che è il momento forse più alto dell’album: Se questo sono io ha il sapore di un brano che resterà, un traguardo artistico nella sua produzione. Noi ci commuoviamo ascoltando questi Fiumi di Gioia infinita, chiudiamo gli occhi per vedere ed io sarò con te.
 
 
 
 
 
 
Quattrocentoquattromila accelera il ritmo dell’album e tinge di scuro i testi, mentre Boxes incide su disco la versione più cavernosa della voce di Paolo, ben nota a chi lo ascolta in concerto ma finora piuttosto rara su disco. Bellissime le tastiere in Slow Parsec Slow, ballata che non avrebbe stonato nei primi album di Benvegnù e che ci regala, inaspettato, il sax di Steven Brown dei Tuxedomoon.

Il ritorno sulla terra è raccontato con gli ultimi due brani: prima la bellissima Astrobar Sinatra, per la quale Benvegnù tira fuori dal cilindro uno dei suoi ritornelli più belli di sempre e canta la difficoltà di lasciare il passato, pur nella gioia del futuro (“Il sole esplode e finalmente non vedo più / Il sole esplode / Incandescente / Non vedo più come amarti / Riconoscerti / Si è fatto tardi, addio. / Addio.”). Poi No Drink No Food, che segna la fine di questo viaggio in perfetto stile Benvegnù. Un pizzico di nostalgia, tanti verbi al futuro.





 

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