Ecco cinque straordinarie canzoni di Peter Gabriel
Su di lui, artista multiforme e geniale, è stato scritto di tutto. Peter Gabriel è considerato uno dei musicisti più influenti degli ultimi quaranta anni, dotato di un estro plastico, mai scontato, che lo ha portato a compiere scelte tanto criticate quanto sofferte.
Con i Genesis – gruppo fondamentale del prog-rock britannico di cui è stato voce e front-man dalle origini fino alla tournée che avrebbe sancito il successo del concept album The Lamb Lies Down on Broadway (1974) – Gabriel ha contribuito a creare un sound inimitabile, senza però accettare lo status di star. E, proprio nel momento in cui, dopo la gavetta, il successo pareva raggiunto, il cantante si è chiamato fuori per interrogarsi e ripensarsi.
La produzione di Peter Gabriel è vastissima e variegata: passa, infatti, dai brani più squisitamente pop, a quelli world, ad alcune delle più originali colonne sonore, come ad esempio Passion. Music for the Last Temptation of Christ, usata nella controversa omonima pellicola di Martin Scorsese nel 1988.
In questa vastità di composizioni alcune di esse sono note al grande pubblico e hanno riscosso un grande successo. È questo il caso di Games Without Frontiers, di Shock the Monkey (che approdò addirittura al Festival di Sanremo del 1983), della funky Sledgehammer o della famosissima Biko, dedicato a Steven Biko, attivista sudafricano nella lotta contro l’apartheid.
Ora, però, vorremmo soffermarci su composizioni meno note, ma altrettanto rappresentative della vena creativa e degli orizzonti musicali dell’artista britannico.
Mercy Street
Per alcuni si tratta di una canzone deprimente, ma le cose stanno in maniera diversa
Cominciamo con Mercy Street (da So, del 1986), brano liberamente ispirato dai versi della poetessa statunitense Anne Sexton, autrice di 45 Mercy Street.
C’è chi ha definito il brano come uno dei più deprimenti di sempre, ma sarebbe meglio riconoscerne l’innegabile complessità che non lo rende certo una hit di facile presa. Al contrario, sono necessari ascolti ripetuti per poterne apprezzare le molte sfumature sia musicali, in cui ci si affida alla dissonanza, che testuali, con versi brevi che danno corpo alle sensazioni che emergono dalle oscure profondità dell’inconscio. Lo si potrebbe quasi definire musica sciamanica, una sorta di brano-medicina.
Nel pezzo è molto interessante è l’uso delle percussioni che ricordano la musica dei nativi americani con l’onnipresente triangolo e il surdo, un grosso tamburo di origine brasiliana usato principalmente nel samba.
Here Comes the Flood
Da Peter Gabriel 1, noto anche come Car per la Lancia Flavia in copertina
Nel primo album solista, acerbo ma valido, il sound Genesis è ancora identificabilissimo, soprattutto per quanto riguarda i testi delle canzoni: lunghi, ricchi di richiami letterari e di giochi di parole. Il brano di cui trattiamo ora – Here Comes the Flood – non si discosta molto dal vecchio stile, ma addita già nuovi percorsi sia musicali che contenutistici.
Siamo di fronte a una ballata struggente che da sola basta a far raggiungere a un album ancora incerto e discontinuo vette espressive sorprendenti. Chi segue Gabriel sa che la versione acustica di Here Comes the Flood chiude le sue esibizioni dal vivo, come a non voler interrompere l’intenso rapporto con gli ascoltatori.
Un brano poetico, intensissimo, in cui l’acqua, il Diluvio, dell’emotività, si oppone all’irresistibile concretezza dell’essere fatti di carne e sangue.
I Grieve
Da Up, l’album arrivato dopo 10 anni di pausa
I Grieve, io soffro, soffro per te perché mi hai lasciato. Tutto è rimasto come era prima, apparentemente non ci sono cambiamenti, la vita continua quando si vorrebbe che si fermasse.
In questo brano Gabriel affronta il senso si smarrimento che si prova dopo aver perso definitivamente qualcuno. La paura emerge inseparabilmente, unita alla sofferenza che costringe ad affrontare l’ignoto della nuova condizione. La perdita, già dolorosa in sé, obbliga a un confronto con il nuovo; quanto più la perdita appartiene alla sfera intima della vita, tanto più ci si troverà faccia a faccia con la paura del cambiamento.
Up è un album più complesso rispetto ai precedenti. I brani sono più lunghi, tranne piccole eccezioni, e, per le tematiche affrontate, le atmosfere sono cupe, forse malinconiche o più correttamente disincantate. D’altronde, il disco uscì dieci anni dopo il lavoro precedente: un’altra prova di come i ritmi di Gabriel siano del tutto estranei a quelli dello show business.
Signal to Noise
Probabilmente l’apice della carriera
Sempre in Up troviamo quello che potremmo definire il gioiello compositivo di Gabriel, forse l’apice della sua carriera musicale che assomma in sé esperienze passate (squisitamente etniche, come in Passion) e sonorità più recenti.
Signal to Noise ha avuto una stesura complessa, resa ancora più difficoltosa dalla morte improvvisa del cantante pakistano Nusrat Fateh Ali Khan, che vocalizza magnificamente negli intermezzi. Il brano ha un incedere sinfonico in cui la ricchissima orchestrazione raggiunge un potentissimo climax con il risultato di trasportarci oltre la realtà, fra suono e rumore.
Infatti il titolo del pezzo rimanda al “segnale radio di rumore”: un impedimento alla comunicazione radio. Qualcuno ha suggerito di ascoltarlo una decina di volte prima di poterne apprezzare la qualità. Personalmente, il più bel brano mai ascoltato.
Solsbury Hill
Una delle canzoni più note di Peter Gabriel
Solsbury Hill, la canzone con cui concludiamo il nostro viaggio alla scoperta di Peter Gabriel, è ancora un estratto dal primo album solista del 1977. Uno dei brani più conosciuti del cantante inglese, dall’incedere frizzante con non pochi richiami folk.
Solsbury Hill è una collina non lontana da Bath, località in cui il cantante vive e dove ha realizzato un avanguardistico studio di registrazione. La vulgata vuole che Solsbury Hill descriva una sorta di esperienza mistica che spiega in modo indiretto i motivi per cui il cantante abbia deciso di lasciare i Genesis nel momento di massimo successo.
La vita da rockstar lo gettava nello sconforto e per questo ha preferito “tornare a casa”, aprendo le porte a nuove esperienze, rinunciando alla sicurezza e ai piani ben orditi dalla fama conquistata. Lasciandosi andare, ci si rende disponibili al nuovo e in questo senso si può interpretare questo pezzo che Gabriel esegue dal vivo, in genere, su di una bicicletta.
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