giovedì 25 agosto 2016

Low ----- Ones And Sixes recensione

DI Gianfranco Marmoro
 
 
Nonostante i Codeine e altre sparute band avessero già creato le coordinate per lo studio della semiotica della musica slowcore, senza dubbio i Low sono la bibbia lirica di una delle rivoluzioni musicali più intense e meno legate all’estetica-estatica del rock.
Accordi monocordi o monocromatici mai superficiali, anzi profondi e grevi, un perfetto ossimoro tra l’espansivo e il solingo, mai ripetitivo nella sua pur netta identità stilistica, musica che come l’acqua resta sempre fresca e dissetante, pur cambiando letto o luogo.

“Ones And Sixes” aggiunge ancora spessore e dignità alla carriera del gruppo. Dopo l’esaltante sbornia pop di “The Great Destroyer” o l’apoteosi solenne e austera di “I Could Live In Hope”, sembrava che i Low avessero toccato i due estremi della loro escursione sonora, ma la spiritualità di Alan Sparhawk e Mimi Parker è dura a morire, non si è fatta intimidire dal folk in “Trust” o dalla psichedelia in “Things We Lost In The Fire” e ora accoglie anche i ritmi elettronici senza perdere il suo costante fascino spartano e naif.
Gelido, aspro, rigido e a tratti desolato, il nuovo album dei Low contiene più di un elemento per restare in piedi al di là della storia del gruppo: fosse un esordio di un qualsiasi band di una qualsivoglia etichetta, forse qualcuno azzarderebbe il termine di rivelazione. Abituati invece da undici tomi discografici alle gesta del trio del Minnesota, restiamo impassibili, dispensando le solite buone parole e i soliti tributi a chi ha reso molto più interessante il viaggio perenne di chi è alla ricerca di buone vibrazioni.
 
 
  Non voglio negare o sottacere che i testi di “Ones And Sixes” siano tra i meno pregnanti della loro carriera, né taccio della discontinuità di alcune tracce, ma i Low con le note iniziali di “Gentle” riaprono la porta al dubbio e all’inquietudine con
  drum machine e glitch digitali a tormentare le note di piano e voce in uno svecchiamento linguistico dello slowcore che abbandona il vintage e si butta nel presente.
Il tono tagliente e metallico del post-rock di “No Comprende” è uno dei vertici dell’album, nonché uno dei punti nodali dal quale partire per afferrare in pieno l’estasi meno confortevole e più fragile di questo nuovo capitolo del trio, anche se bisogna attendere “The Innocents” per essere sopraffatti dalla nuova estetica del dolore, tra distorsioni ritmiche ed elettroniche che ondeggiano su accordi sincopati di basso e chitarra, mentre il duetto di voci raggiunge una perfezione angelica.

No End”, “Kid In The Corner” e “What Part Of Me” smuovono le acque gettando un alito di vento più caldo e melodico, smorzando in parte la tensione e dando spalla a possibili accuse di ruffianeria, soprattutto per il refrain travolgente di “What Part Of Me”, la canzone più pop mai scritta dal gruppo.
Quello che rende “Ones And Sixes” interessante è quella palpabile curiosità che negli ultimi capitoli sembrava addomesticata da produzioni altisonanti e da sonorità confortevoli, “Spanish Translation” è, ad esempio, il classico pezzo in slow-motion del gruppo, puro slowcore destinato all’ipnosi acustica se Sparhawk non trasgredisse le regole con una interpretazione vocale che duella con gli strappi di chitarra elettrica, tenendo alta la tensione e l’attenzione.
In converso, “Congregation” si inebria di drum machine e oscurità con un incedere potente e incisivo, dove il dubbio vince sulle certezze e ridà slancio a un percorso sonoro che sembrava arenarsi in comode lande, quelle che in “DJ” ritornano piacevolmente a galla con uno dei testi più intensi, che giustifica altresì la sua presenza in chiusura.

Coraggioso e più abrasivo degli ultimi album, “Ones And Sixes” si fa amare per la sempre immancabile classe dei Low come autori e come distillatori di quelle emozioni che annullano la voglia di sobrietà e danno vita a una salutare dipendenza.
I fan si adageranno senza remore nelle braccia accoglienti di “Into You” e ovviamente della nostalgica “Lies”, ma i più esigenti si arrenderanno solo quando i quasi 10 minuti di “Landslide” li avvolgeranno come un tornado, un brano dove tutto viene giù con la forza di una valanga e la delicatezza di una tempesta di neve. E' anche il capitolo dove si nota ancora di più il nuovo volto sonoro dei Low: le chitarre, la batteria e le voci sostengono il crescendo emotivo e lirico, sostituendo l’uso di un’orchestra o di un suono più epico.
Raffinato esempio di longevità artistica e di rinnovamento costante “Ones And Sixes” è un album che si farà amare non solo per la fama del gruppo, ma soprattutto per quelle piccole imperfezioni che lo rendono più umano e vivido, musica che suona entusiasmante ma anche ricca di promesse per il futuro.






 
                                                      
 

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