giovedì 14 aprile 2016

Maria Devigili recensione

La trasformazione
 
 
 
Il bello dell’inganno perpetrato dalle apparenze è la meraviglia che talvolta ne deriva. Il secondo album di Maria Devigili, seguito di Motori ed introspezioni del 2012, ritrae l’artista investita di diafana bellezza: viso di porcellana immerso in un bianco che pare lambirne i contorni. Sarà questa La trasformazione? La differenza con l’immaginario evocato dall’artwork dei precedenti lavori, così carichi di simboli e colori, è palese. Lecito domandarsi se anche la musica abbia subìto una tale drastica mutazione, spostando l’ago creativo verso soluzioni più eteree. Quando è ora, prima traccia  del disco, è la risposta ai nostri dubbi: sì e no. C’è una maggiore pulizia rispetto ai brani del passato, un lavoro di sottrazione che pare averli spogliati di ogni orpello, rendendoli splendidamente essenziali. Nondimeno, l’utilizzo minimale degli strumenti (invero assai numerosi) deve avere scatenato la fantasia di Devigili in fase di arrangiamento e spinto l’acceleratore su soluzioni spesso sorprendenti. Un segno sulla tela, se dato nel modo giusto, basta a fare il quadro. Ballate blues e spruzzate di world music convivono con il rock sommesso di La distrazione e L’invisibile è quello che ci sostiene, mentre una manciata di moderne e bellissime ninne nanne richiamano la bellezza stralunata di Pascal Comelade (su tutte, Fiore di Hiroshima).
 
 
 
In house concert Agorà 14 dicembre 2013
 
 
 
 
 
 
 

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