martedì 6 gennaio 2015

CANZONI CONTRO LA GUERRA

Il testamento di Tito
di FABRIZIO DE ANDRE'
 

  Facile usare iperboli: una delle più belle canzoni scritta in lingua italiana, una delle più difficili, delle più umane.

La sua storia è quantomeno singolare, come singolare resta l'album di cui fa parte e di cui rappresenta il brano più famoso: La buona Novella. È nota la domanda che fu posta a De André, quando gli chiesero come mai, negli anni della contestazione giovanile, aveva sentito il bisogno di fare un album dedicato alla figura di Gesù Cristo. "Perché Gesù è il più grande rivoluzionario della storia", rispose. Ne nacque un album dove la figura umana di Gesù, e la sua vicenda terrena, raccontano tante di quelle cose da abbattere le muraglie. Cose che non cessano di avere valore, specialmente oggi e specialmente con questa canzone capolavoro.

Nella confutazione dei "dieci comandamenti" effettuata da Tito, che secondo un vangelo apocrifo era uno dei due ladroni crocifissi assieme a Gesù (l'altro si chiamava, sempre secondo la tradizione apocrifa, "Dimaco", ovvero "colui che combatte due battaglie" in lingua greca), c'è la confutazione di tutti i dogmi, di tutte le morali, di tutte le imposizioni in nome di un "Dio" lontano, astratto, ingiusto, inventato da uomini che se ne servono come pretesto e complice per il loro potere. Tito, mentre in croce muore la stessa morte di Gesù, si accorge però dell' amore proprio quando vede qualcuno che soffre e che muore assieme a lui.

È una strofa che ho sempre trovato controversa, quella finale. Questa è una canzone dove, nell'ordine, si demoliscono dalle fondamenta l'intolleranza "religiosa", i falsi rispetti dovuti a padri inumani e crudeli, i riti salmodianti e vuoti, le morali edificanti e oppressive, la disumana ipocrisia della pena di morte. È la canzone di un uomo che, di fronte alla morte, non si piega e trova il coraggio di vuotare il sacco, senza più niente da sottacere. Senza la strofa finale, sarebbe stata una canzone-bulldozer. Forse De André sentì il bisogno di mitigare un po' la forza autenticamente distruttiva delle sue parole con una "cognizione dell'amore" che, seppure organica al messaggio dell'album, suona come sforzata. Senza per altro diminuire di un grammo il peso di ciò che viene detto nelle strofe precedenti. A lungo, quando mi sono ritrovato a cantare "Il testamento di Tito" in compagnia, non ho cantato la strofa finale. Ma c'è. Ha, sicuramente, una sua logica e una sua funzione ben precisa, a condizione che l' "amore" di cui si prende cognizione non copra quel che è stato detto prima. Perché è un amore estremo che scaturisce da una lotta, da una denuncia, da una rabbia.

Perché nelle Canzoni contro la Guerra? A rigore, basterebbe la strofa iniziale. Una strofa che dovrebbe essere fatta mandare a memoria a tutti i seguaci degli scontri di civiltà e compagnia bella. Ma anche nelle altre strofe si combatte una battaglia di pace, contro ogni oppressione di un potere che usa ogni cosa (la famiglia, la religione, il denaro) per creare disuguaglianza e dolore. Non a caso queste parole sono affidate a un "ultimo", a un reietto, a un delinquente. Ad uno che, oggi come oggi, sarebbe oggetto di un "tentativo di linciaggio" da parte di folle anestetizzate. Per questo, la canzone parla, e sempre di più, all'oggi. Per questo De André volle fare un album su Gesù Cristo, spogliandolo di ogni "divinità" e rendendolo non solo uomo tra gli uomini, ma portatore e simbolo di lotta e cambiamento. Forse, allora, il suo messaggio non fu colto appieno; lo cogliamo, disperatamente, oggi. [RV]
 
LEGGI IL TESTO >>>>>>>>>>
 


 
Non avrai altro Dio, all'infuori di me. Spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse, venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te,
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.

Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato
e non ascoltò il mio dolore,
ma forse era stanco, forse troppo lontano
davvero, lo nominai invano.

Onora il padre, onora la madre,
e onora anche il loro bastone.
Bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore,
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste,
facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali,
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.

Il quinto dice Non devi rubare,
e forse io l'ho rispettato
vuotando in silenzio le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio,
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri, nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri,
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l'ami,
così sarai uomo di fede,
poi la voglia svanisce ed il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l'amore,
ma non ho creato dolore.

Il settimo dice Non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno;
guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno.
Guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno,
guardate la fine di quel nazareno,
e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino
e scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore,
ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri,
non desiderarne la sposa.

Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri, già caldi d'amore
non ho provato dolore,
l'invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore,
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore.



Nessun commento:

Posta un commento