In attesa dell'house concert del 12 maggio con
Stefano Barbati e Ivano Sabatini
Playlist di brani selezionati di Jimi Hendrix
Jimi Hendrix è stato uno dei più influenti chitarristi Rock in assoluto, quello che ha elevato la chitarra a strumento principi del Rock, almeno per tutto il periodo che va dai suoi primi successi all’invasione dei sintetizzatori. Ma con Hendrix la chitarra evolve verso qualcosa di diverso dalla tradizione di Chuck Berry e quel Blues: diventa un simbolo di un culto, una creatura sacrificale, un totem, un simbolo fallico, uno strumento che indica potenza, lo scettro del verbo Rock. Da Hendrix deriva l’immaginario chitarristico e del guitar-hero di molte formazioni di Hard Rock ed Heavy Metal ed a lui va ricondotta la propensione a vedere in questo strumento un qualcosa che possa fungere da centro assoluto dei brani Rock. Detta di questa componente simbolica, di questo nuovo ruolo, Hendrix è stato capace di apportare una rivoluzione anche prettamente musicale, non solo iconografica. Irrobustendo il Blues/Rock con distorsioni assordanti, selvagge, graffianti, dinamitarde Hendrix ha ampliato le possibilità dello strumento rendendolo uno strumento totale, capace di melodia, riff tellurici e persino rumori assordanti, astratti, psichedelici. Proprio nella psichedelia Hendrix raggiunge un terzo vertice, terza medaglia musicale da appuntarsi al petto: alcune sue sperimentazioni distorcono, deformano, modellano, effettano, trasfigurano il suono della chitarra fino a conferirle qualità visionarie inedite, che evocano profondità siderali, gorghi cosmici ed i bombardamenti del Vietnam. L’elenco di effetti che promosse a costanti del Rock è lunga e nutrita: wah-wah, distorsione fuzz ed uso fantasioso del feedback sono forse i tre maggiori esempi.
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Guitar hero, icona del Rock chitarristico, fautore di un nuovo e distorto Blues/Rock, ‘poeta della chitarra psichedelica Hendrix è stato anche un simbolo dell’incendiaria esplosione del Rock di fine anni ’60. Con la sua prematura scomparsa nel 1970 a 38 anni si chiude simbolicamente anche un’epoca musicale, quella dei sogni psichedelici, dell’esorcizzazione delle paure tramite la musica, delle fascinazioni cosmiche più spinte.Con lui muore un simbolo, uno dei padri dell’esplosione creativa del Rock di fine anni ’60. L’approccio allo strumento rivoluzionario, innovativo, travolgente hanno segnato a fuoco immaginario popolare, storia della musica ed evoluzione delle tecniche del suo strumento: un vanto che pochissimi possono vanta
Non ultimo, Hendrix è stato un simbolo della negritudine, il ritorno del Rock alle sue origini nere. Questo non solo per il colore della sua pelle, ma per l’integrazione con rituali voodoo, il “sacrificio” della chitarra a fine concerto (che veniva sfasciata, persino incendiata), una propensione quasi romantica al ritorno disperato alle origini, quelle degli istinti primordiali sessuali ma anche infantili. Hendrix oltre a mimare più o meno esplicitamente atti sessuali sul palco approcciava lo strumento con la libertà che è estranea alla tradizione più rigida e codificata tipica delle società etichettate come moderne. La sua forza stava nel non mostrare grande preoccupazione nell’infrangere regole non scritte del chitarrista, finendo così per suonare il proprio strumento con qualsiasi cosa capitasse, in qualsiasi modo. Con Hendrix la chitarra non è più accarezzata ma anche “amata”, “percossa”, “sacrificata”.
Di tutta questa rivoluzione, alla fine, ci rimangono una fama che ha pochi rivali e che mette d’accordo chitarristi, critici musicali, storici musicali, storici del costume e delle figure popolari. Musicalmente, però, Hendrix in vita ebbe modo di consegnare solo tre album di studio, a cui dobbiamo affidarci per godere della sua opera. Il primo e il terzo svettano sul resto come pietre miliari del Rock del periodo.
Uno stillicido di dischi postumi più o meno raffazzonati ha poi invaso il mercato dal 1970 ad oggi, sfruttando più o meno pretestuosamente la fama che Hendrix si è costruito negli anni.
Are You Experienced? (1967) è il capolavoro della carriera. Album seminale, rinventa il Blues/Rock (Purple Haze, Fire), fonda una psichedelia chitarristica inedita (Third Stone from the Sun) ed anticipa elementi di Hard Rock ed Heavy Metal al pari di band come i Cream. L’incalzante e trascinante Purple Haze è uno dei capolavori: riff rombante e leggendario, testo con rimandi psichedelici/mistici/magici, assolo penetrante, estasi allucinata. Altro capolavoro è Manic Depression, 9/8 per una chitarra scintillante ed infuocata che è irrinunciabile per capire l’evoluzione dello strumento nel Rock. La celebre ballata Hey Joe (nella versione USA dell’album, originariamente singolo) è invece scritta da Billy Roberts e sfoggia, seppure in modo meno plateale, le abilità di Hendrix. La parte centrale dell’album continua su livelli meno stratosferici con Love or Confusion ma trova una vena psichedelica su May Be This Love, pianto onirico della chitarra. Già con l’enfasi e la potenza dell’Heavy Metal giunge quindi I Don’t Live Today, finale con echi Free-Jazz, e poi The Wind Cries Mary, la migliore ballata dell’album ma non esattamente uno dei vertici. Il terzo capolavoro arriva con Fire, impetuoso Blues/Rock in fiamme. Quarto capolavoro è Third Stone Form The Sun, quasi sette minuti di voci rallentate, Jazz, chitarrismo carismatico, melodia, gorghi siderali, cacofonie, ritmi pulsanti ed ipnotici. Si tratta di uno dei massimi capolavori della psichedelia, un viaggio superbo ed ultraterreno nella psiche turbata di Hendrix. Il proclama sessuale di Foxey Lady, con grandi feedback, introduce la title-track: reverse guitar, nastri manipolati, altro grande momento psichedelico e disorientante. Hendrix, anche al canto, si esibisce con tono da Bluesman capace di una forza ed irruenza notevoli, ma anche di una pacatezza quasi mistica. La sessione ritmica del trio con basso e batteria vede distinguersi più la seconda, con Mitch Mitchell dietro le pelli. Almeno Purple Haze, Manic Depression, Fire e Third Stone Form The Sun sono fra i capolavori del Rock.
Axis: Bold As Love (1967) è un album inferiore, meno violento e sperimentale e pieno di momenti minori. La classe però non è tutta evaporata, i momenti migliori sono degni di attenzione e di rimanere sottratti alle intemperie del tempo. I ruggiti chitarristici di Spanish Castle Magic, assordanti come un Heavy Metal sferragliante e soprattutto il Jazz/Rock psichedelico di If 6 Was 9 sono da ricordare. L’album è segnato da un sound più morbido, non entusiasmante: Little Wing e Castles Made Of Sand i momenti migliori su questo fronte. Per quanto sia l’album minore dell’iniziale trilogia, Hendrix mostra comunque una duttilità nell’uso della chitarra non indifferente.
Il secondo album maggiore di Hendrix è Electric Ladyland (1968), imponente opera di oltre 75 minuti. Meno essenziale dell’esordio, l’album contiene alcuni momenti minori ma anche dei capolavori che evolvono verso un nuovo stile musicale, orientato a lunghe e dilatate composizioni deliranti. Abbondano i brani morbidi con magari qualche sfumatura psichedelica (Have You Ever Been, Long Hot Summer Night) ma è più interessante la ruggente Crosstown Traffic, degna della Fire dell’esordio per impatto e potenza. Affascinante anche il Gospel-Rock psichedelico di Burning Of The Midnight Lamp. La celeberrima Voodoo Child (Slight Return) è uno sfoggio del chitarrismo di Hendrix che funge da sunto della sua fantasia. Ad elevare enormemente un’opera tutto sommato con diversi momenti minori ci pensano due composizioni lunghe e imponenti, due deliranti escursioni nel chitarrismo di Hendrix. Voodoo Chile (15 min.) si fregia di Steve Winwood alle tastiere e Jack Casady al basso e si apre sommessa, come un Blues soffuso e sofferto, ed inizia a decollare con la chitarra che si contorce e si lamenta, straripa in gorghi cosmici, in assalti psichedelici e ritorna quieta, innescata poi dagli assoli Jazz della batteria, in una splendida visione psichedelica che è poi un’ascesi mistica (min. 9-11); il tempo di riprendere il respiro ed il finale è esplosivo, con una festa pirotecnica di batteria e chitarra da antologia. Il secondo brano esteso è 1983, capolavoro di Hendrix sul versante psichedelico, brano arrangiato con fantasia e liquido come un viaggio lisergico, piena di effetti e voci deformate, di pause oniriche, di melodie fiabesche. Assoli di batteria e mutazioni di chitarra guidano questo viaggio, fino ai “gabbiani” del finale. Moon, Turn The Tide è un breve stralcio di 1 minuto che prosegue e prolunga idealmente 1983 fra fischi siderali. L’album contiene anche All Along The Watchtower di Bob Dylan, stravolta dalla chitarra infuocata di Hendrix che sotituisce l’armonica.
Are You Experienced? ha iniziato la rivoluzione, ponendone le basi ed i principali tratti distintivi. Axis: Bold As Love è un momento interlocutorio di gran pregio. Electric Ladyland è un sovrabbondante album doppio con deu capolavori capaci di superare lo stile dell’esordio, approdando ad una jam acida/psichedelica di Blues/Jazz/Rock.
La carriera maggiore di Hendrix finisce qua, almeno per quanto riguarda gli album in studio. Un effluvio di live invade il mercato nelle decadi successive. Qua si ritiene di dover ricordare l’esperimento come Band of Gypsys nell’omonimo live del 1970. Prima band completamente nera del Rock, si ricorda per i 12 minuti trascinanti e drammatici di Machine Gun e per i 9 e mezzo di Who Knows, anche se la seconda non è poi tanto distanti da un Blues/Rock canonico, semplicemente esteso in jam.
I primi album postumi di studio furono The Cry of Love (1971) e Rainbow Bridge (1971). La dolce psichedelia di Drifting, il Blues/Rock per assoli ritmici di Straight Ahead e l’arrembante Astro Man si ricordano dal primo, capace anche della ruffiana ballad Angel, melodica e commovente. Il delirio pellerossa di Room Full Of Mirrors, una versione dello Star Spangled Banner riarrangiata e deformata e due un po’ autocompiaciute tracce live delineano invece il secondo. Si tratta comunque di musiche non rifinite, che Hendrix avrebbe dovuto portare sul suo nuovo album, mai concluso a causa della prematura morte. L’album, dal titolo First Rays of the New Rising Sun, venne poi pubblicato nel 1992 in modo, com’è ovvio, abbastanza raffazzonato
Fra i tantissimi live pubblicati, alcuni meritano un commento per importanza storica o quantomeno importanza nell’immaginario collettivo. Jimi Plays Monterey (giugno 1967, pubblicato nel 1986) è uno degli show più leggendari di Hendrix, al Monterey Pop Festival, uno dei primi grandi eventi Rock della Storia. Si alternano cover varie (BB King e Bob Dylan, per esempio) a composizioni originali. Alla fine, si incendia la chitarra su Wild Thing. Famosi e celebrati anche il Live At The Fillmore East (1969/70, pubblicato nel 1999), che fotografa in grande forma la Band Of Gypsis con più completezza, ed il Live At Woodstock (1969, pubblicato nel 1999) nella sua versione completa, invero prolissa e non così eccezionale, ma capace comunque di una leggendaria Star Spangled Banner con chitarre-bombe dal chiaro intento polemico. Esistono poi numerose versioni che tagliuzzano questi episodi e ripropongono, più o meno legalmente, diversi concerti di Hendrix. Lascio agli appassionati la libertà di scavare in una a mio parere spesso vergognosa profanazione della memoria di Hendrix, sfruttandone fino all’osso le potenzialità discografiche.
Due sole le raccolte ufficiali in vita: Smash Hits (1968) che raccoglie i materiali dei primi due album ed è quindi, naturalmente, una raccolta di alto livello, seppure escluda completamente il terzo album (anticipandone solo un brano); Electric Jimi Hendrix (1969) è una versione ridotta del terzo album, senza i due brani più imponenti ed estesi, ovvero monca delle cose migliori
Postume verranno pubblicate una schiera di compilation più o meno pretestuose. Una breve e sintetica panoramica (senza voler pretendere di essere completi, visto il numero impressionante di raccolte presenti sul mercato):
– Re-Experienced (1975) pesca soprattutto dai primi tre album, fornendo una panoramica sulla carriera equilibrata fra qualità e completezza;
– The Essential Jimi Hendrix (1978) pesca dai primi album ma si lascia affascinare di più da tante delle ultime “rarità”;
– The Essential Jimi Hendrix Volume Two (1979) è una compilation poco essenziale, meglio recuperarla per completezza su The Essential Jimi Hendrix Volumes One and Two (1989);
– Stone Free (1981) pesca sempre fra i primi album, in modo lacunoso;
– The Singles Album (1983) raccoglie i singoli ed è interessante se vi interessano… i singoli. Non è certo il meglio di Hendrix!;
– Kiss the Sky (1984) raccoglie qualche materiale inedito ed alcune delle canzoni maggiori, ma non quelle più estese;
– Lifelines: The Jimi Hendrix Story (4 CD, 1990) specula con un effluvio di rarità e di live, allungando e diluendo quanto di buono ha fatto Hendrix. Solo per veri completisti;
– The Ultimate Experience (1993) esclude i brani estesi del terzo album, ma contiene buona parte del meglio del resto;
– Experience Hendrix: The Best of Jimi Hendrix (1997) raccoglie il meglio tranne i brani estesi;
– The Jimi Hendrix Experience (2000) è un box-set un po’ prolisso ma dignitoso, che propone molte versioni alternative;
Lascio ai fan ed ai cultori di Hendrix un’analisi più approfondita di queste raccolte e di tutte quelle che ho creduto di dover trascurare (o che non conosco). Rimane mia opinione che i primi tre album possano conferire un’ottima immagine di Hendrix e, se il tempo non c’è o non volete concederlo agli ascolti di Hendrix, almeno il primo ed il terzo album li reputo necessari e sufficienti per comprendere questo grande chitarrista.
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